I proiettili usati per uccidere due giorni fa a Tripoli Salah al Maskhout, noto come il boss degli scafisti di Zuwara, sono di calibro 9 come quelli in dotazione alle forze di sicurezza americane e alle guardie della sede diplomatica Usa. Ma il presidente del Congresso libico, Nuri Abu Sahmain, è sicuro delle informazioni in suo possesso e accusa “forze speciali italiane” di aver ucciso al Maskhout, un suo amico. Parole riprese dai media internazionali e che lasciano intravedere lo scenario che i Paesi occidentali siano passati all’azione armata per eliminare, anche fisicamente, i trafficanti di esseri umani che organizzano in Libia le partenze dei migranti verso le coste europee. Secca la smentita della Farnesina e del ministero della Difesa. L’Italia, dicono, non è coinvolta in alcun modo.

 

Salah al Maskhout, un ex ufficiale dell’esercito nell’era del colonnello Muammar Gheddafi, è stato ucciso assieme a otto delle sue guardie del corpo. Il Libya Herald sostiene che si è trattato di una esecuzione a tutti gli effetti eseguita da “professionisti”, ossia uomini addestrati ad agire con rapidità e letale efficienza, per non lasciare scampo al bersaglio. Al Maskhout era andato a far visita ad alcuni parenti che vivono nei pressi del Medical Centre di Tripoli quando il convoglio è stato bloccato da almeno quattro uomini. Armati, pare, solo di pistole. Hanno esploso colpi andati tutti a segno. Il boss e gli otto uomini della scorta, che pure erano in possesso di mitra Ak 47, non hanno avuto il tempo di reagire. Sono stati freddati tutti in pochi attimi. Il dipartimento investigativo di Tripoli e i medici legali che hanno esaminato il cadavere di al Maskhout, dicono che il capo degli scafisti è stato colpito al cuore. L’agguato con ogni probabilità era pianificato da tempo e sebbene il presidente del Congresso libico Nuri Abu Sahmain e alcuni media libici facciano di tutto per indicare una responsabilità di “agenti stranieri”, è possibile che al Maskhout sia rimasto vittima di un regolamento di conti tra boss del traffico di esseri umani. Si tratta di un business che muove solo in Libia molte centinaia di milioni di dollari ogni anno e Zuwara è uno dei porti principali da dove avvengono le partenze. Il mese scorso la cittadina è stata teatro della strage di centinaia di migranti naufragati su un barcone a poca distanza dalla costa. Sono ancora davanti agli occhi di tutti le immagini dei cadaveri di bimbi morti sul bagnasciuga. Senza contare che, almeno a parole, le milizie locali hanno proclamato, con l’appoggio della popolazione, di volere combattere coloro sfruttano guerra e miserie per sottrarre ogni avere alle migliaia di africani e arabi che tentano di raggiungere le coste europee.

 

La Libia resta nel caos, con gli affiliati allo Stato Islamico che controllano diversi centri abitati e porzioni significative di territorio. Violenti combattimenti ieri continuavano a Bengasi, in particolare nella zona del mercato. In campo ci sono oltre un migliaio di uomini appoggiati da elicotteri e aerei del “governo di Tobruk” appoggiato dall’Occidente. La vittoria, dicono queste forze, è a portata di mano e non meglio precisati gruppi islamisti sono vicini alla sconfitta. La popolazione di Bengasi vive nel terrore. Ai residenti è stato ordinato di restare in casa.