Ci si aspettava un voto senza sorprese. Poco più di cinque milioni di cittadini azeri chiamati alle urne mercoledì 9 avrebbero dovuto dare il terzo mandato consecutivo ad Ilham Alyev, che ha ereditato la presidenza dal padre Heydar nel 2003. Così, in effetti, dice il risultato finale, qualcosa però si è inceppato nel governo della repubblica ereditaria e ora l’annunciato trionfo di Alyev, presidente-padrone del paese e delle sue ingenti risorse di gas e petrolio, rischia di diventare un boomerang.

Il primo intoppo, due giorni fa. Meydan tv, un canale legato all’opposizione, ha diffuso la schermata di un tweet partito apparentemente dall’app ufficiale della Commissione elettorale centrale prima dell’apertura dei seggi, ma con già i risultati: Alyev vincitore con il 72,76 per cento dei voti e Jamil Hasanli, il candidato dell’opposizione, fermo al 7,4. Secondo la giustificazione ufficiale si trattava di un test, con dati non definitivi e riferiti al voto presidenziale del 2008. Peccato che nel 2008 Hasanli non era candidato e Alyev «vinse» con l’87 per cento.
Il secondo intoppo è stata la relazione preliminare degli osservatori internazionali mandati dall’Osce: «Il voto del 9 ottobre è stato minato da limitazioni alla libertà di espressione, assemblea e associazione che non hanno garantito una competizione leale. Continue presunte intimidazioni ai candidati e agli elettori, nonché un ambiente mediatico restrittivo hanno guastato la campagna elettorale», si legge all’inizio del documento fitto di rilievi, legislativi e tecnici, sui vizi di forma e di sostanza dell’intero processo elettorale.

I risultati ufficiali, ieri, hanno attribuito al presidente Alyev una percentuale ancora più alta: 84,76 per cento dei consensi, ma secondo gli osservatori Osce, ci sono stati almeno 37 casi di urne pre-riempite e nel 58 per cento dei seggi monitorati ci sono state procedure di conteggio «cattive o pessime». Combustibile per le opposizioni che raccontano di voti arbitrariamente attribuiti al presidente ed elettori così entusiasti di poter votare per Alyev da farlo anche due o tre volte. Isa Gambar, leader del partito di opposizione Musavat, ha riferito all’agenzia di stampa Turan di elettori trasportati da un seggio all’altro: «Una dimostrazione del fatto che il governo non riesce a conquistare il consenso popolare in modo pulito», ha detto. Un altro leader anti-Alyev, Eldar Namazov, già consigliere del presidente, è stato più duro: «Sono le elezioni più sporche nella storia dell’Azerbaijan». Lo sconfitto Hasanli ha chiesto l’annullamento del voto ma le speranze di ottenerlo sono scarse, a meno che nel paese non scoppi una protesta «primaverile». Improbabile, dato il consenso di cui il governo Alyev gode grazie alla rendita petrolifera e agli appoggi internazionali che ha saputo costruire lavorando con intelligenza sul piano della comunicazione e dell’immagine.

Uno degli ultimi endorsement è arrivato dall’Italia, quando l’11 agosto scorso il premier Enrico Letta è volato a Baku per «ringraziare» Alyev per aver scelto il gasdotto Tap (Trans-Adriatic pipeline), per portare il gas azero nell’Ue, via Georgia, Turchia, Grecia e Italia.
Da Baku al Caucaso: un Alyev meno sicuro della sua presa potrebbe riaccendere il contenzioso mai chiuso con l’Armenia per lo status del Nagorno-Kharabakh, l’enclave armenofona attribuita da Stalin al territorio della repubblica sovietica dell’Azerbaijan. I due paesi sono ancora tecnicamente in guerra e le scintille sulla linea del cessate il fuoco che dal 1994 ha congelato la situazione sul campo sono frequenti. Basta un soffio per farne un incendio.
*Lettera22