Sebbene la crisi richiami scenari inediti per la nostra generazione, che simbolicamente possiamo associare alla grande guerra e alla crisi del ventinove, la classe dirigente non è ancora uscita dalla scienza normale.

La logica degli interventi (europei e nazionali), così come la prosopopea circa gli effetti, misurabili in trilioni, suggerisce alcune riflessioni economiche rispetto all’impegno pubblico. Evidentemente c’è qualcosa di non detto che il Presidente del Consiglio Conte ha sottolineato: stiamo facendo la Storia, non scrivendo un manuale di economia. Se la Storia non interviene per tempo, purtroppo, i provvedimenti adottati non possono andare oltre il leverage.

Tutti provvedimenti utili, soprattutto quelli del governo circa il sostegno ai redditi, come quello a favore della liquidità, ma tra i due provvedimenti c’è qualcosa di molto diverso e sostanziale: il primo è deficit, il secondo è un potenziale deficit. In effetti, se il Paese avesse realmente messo in campo una potenza di fuoco pari a 750 mld, poco meno della metà del PIL, sarebbe difficile comprendere la posizione italiana a sostegno degli eurobond.

Pur considerando un moltiplicatore keynesiano pari allo 0,5, veramente molto basso in tempi di crisi, ci sarebbe un reddito nazionale incommensurabile.

Ovviamente è necessaria una qualche verifica. Secondo la Presidente della Commissione Europea (La nostra prima priorità è la salute dei nostri cittadini. Allo stesso tempo, l’epidemia di coronavirus è uno shock importante per l’economia europea e mondiale. Gli Stati membri hanno già adottato o stanno adottando misure di bilancio per aumentare la capacità dei loro sistemi sanitari e dare sollievo ai cittadini e ai settori particolarmente colpiti), il continente avrebbe mobilitato, termine appropriato ma deviante, qualcosa come 2.770.000.000.000, più banalmente quasi 3 trilioni di euro.

Guardando con maggiore attenzione, registriamo che non sono propriamente delle misure di spesa pubblica, al netto dei provvedimenti legati alla disoccupazione come la Cassa Integrazione italiana.

Da un lato ci sarebbe SURE, un fondo per la disoccupazione pari 100 miliardi di euro di assistenza finanziaria, sotto forma di prestiti concessi a condizioni favorevoli, che prima o poi devono essere retrocessi; poi si menzionano i fondi dei singoli Stati (430 miliardi) che non sono spesa pubblica, piuttosto coperture pubbliche per la liquidità delle imprese, quindi non deficit corrente, e poi poco più di due trilioni della BCE per arginare il corso dei titoli pubblici.

Restando a casa nostra, pur condividendo le misure del governo, c’è una evidente disparità tra le risorse pubbliche impegnate, poco più di 50 mld, e la roboante dichiarazione relativa alla mobilitazione di 750 mld di euro. Gli interventi tedeschi e francesi hanno più o meno lo stesso segno. A margine ricordo anche che l’inflazione nazionale ed europea tende verso il basso, più o meno verso l’1%.

Il ragionamento non riflette una critica in senso stretto, piuttosto un richiamo alla politica economica intrapresa fino ad oggi. In qualche misura gli stati hanno operato dal lato delle garanzie e senza grandi variazioni nel saldo netto da finanziarie. Ovviamente le regole comunitarie pesano, e pesano tantissimo. La flessibilità del patto di stabilità e sviluppo più che una scelta politica e stata una constatazione dell’impossibilità di preservare certi programmi, ma di politica economica proprio non si parla.

Il richiamo alla così detta fase 2, invece, necessita non di leverage, piuttosto di reale spesa pubblica pari almeno al capitale perso durante la crisi. Qualcuno, Visco (ex Ministro del Tesoro), ha parlato di un aumento del debito pubblico italiano non inferiore al 40%, e per gli altri paesi non andrà meglio.

Quando si reclamano i così detti eurobond, non per condividere un rischio, si fa riferimento ad una spesa aggiuntiva per una crisi che cambia radicalmente la catena del valore e financo il presidio dei settori essenziali dello stato. In altri termini, dalla mobilitazione di tre trilioni, si deve passare alla spesa effettiva di tre trilioni di euro.