«Per definire l’Impresa Sociale bisogna articolare la parola impresa e la parola sociale»: si presenta così il Convegno che da oggi, a Trieste, vuole coniugare diritti e lavoro attraverso il fare impresa. Impresa come azione collettiva che afferma il primato del sociale così che tutti siano abilitati a vivere pienamente la vita che vogliono vivere. Si parta dall’articolo 3 della Costituzione, propongono gli organizzatori, che non mette al centro la sussidiarietà, ma vede lo Stato soggetto con tutte quelle componenti della società che fanno la Repubblica: imprese, associazioni, fondazioni, gruppi di cittadinanza attiva.

Un raccordo tra organizzazioni pubbliche e realtà sociali per creare una mobilitazione biunivoca che sappia leggere i bisogni e congegnare soluzioni. «Se c’è soltanto lo Stato, non abbiamo un’intrapresa per il sociale ma un agire paternalistico incapace di emancipazione; e se c’è solo la Repubblica, l’intrapresa non si trasformerà in diritti esigibili». Tre giorni di relazioni e dibattiti nel comprensorio dell’ex Ospedale psichiatrico, nel Teatro Franca e Franco Basaglia. Là dove, 50 anni fa, è nata la prima coop sociale italiana come strumento per superare il manicomio e restituire cittadinanza alle persone ricoverate.

Un’esperienza che ha messo radici negli anni e ha saputo anche germinare, nella teoria e nella pratica, come oggi con questo convegno che vede promotori molte realtà triestine e, in primis, il dipartimento Assistenza integrata Dipendenze e Salute mentale dell’Azienda sanitaria. Tre giorni con relatori dall’Italia e dall’estero, ricercatori, amministratori, imprenditori, con la ricchezza di tante buone pratiche e progetti da mettere a confronto per fare sistema.

Sessioni in plenaria con, stamattina, la relazione introduttiva di Andrea Morniroli, coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità e il focus sulla necessità di ripartire dal lavoro: «Da quel lavoro su cui è fondata la nostra Repubblica, quello che conferisce dignità, che riconosce diritti, che trasferisce potere. E non solo potere d’acquisto. Un lavoro alla portata di tutti, che tiene conto delle differenze e delle situazioni di partenza e rimuove gli ostacoli per una partecipazione piena. Non è una questione individuale, che ognuno si gioca per conto suo; non è un problema del singolo, di cui occuparsi in modo assistenzialistico: è una scelta che attiene all’identità della comunità che vogliamo costruire e nella quale vogliamo vivere, dove non ci sono soggetti che occupano spazi ed eventualmente li concedono ad altri o li fanno attraversare a condizioni capestro».

E infine: «Sono beni comuni a cui tutti concorrono e che tutti, pubblico e privato, istituzioni e associazioni, imprese e liberi professionisti, sono chiamati a custodire e a rigenerare per una gestione collettiva che restituisca voce a chi finora ha messo solo braccia, che cancelli le disuguaglianze».