L’incertezza del governo e lo stallo in cui è piombato dopo la presentazione del Documento di Economia e Finanza sono stati riassunti da una frase pronunciata ieri dal ministro dell’Economia Giovanni Tria a Washington. A chi gli ha chiesto se dispone oggi di un «piano B» nel caso in cui il mostruoso piano di privatizzazioni da 18 miliardi di euro (un punto di Pil) nel 2019 non darà risultati ha risposto: «Vedremo di raggiungerli. Se non si raggiungono, vedremo dopo».

È UN’IDEA della finanza pubblica cammin facendo, sia pure nel rigido rispetto degli accordi con la Commissione Ue sul deficit strutturale fissato al 2,4% del Pil (era al 2,04% solo a dicembre). Al netto dell’andamento ciclico e delle misure temporanee, a parere del ministro ci sarebbe un rimbalzo sull’indebitamento dello Stato minimo (0,1%). Con qualche sforzo, e sempre che la crescita non cali sotto lo zero, tutto dovrebbe restare nei limiti del «patto di stabilità» che anche i populisti si sono impegnati a rispettare. Ma nulla è a posto su una bilancia che dà i numeri, nel vero senso della parola. Ci sono 23 miliardi da trovare per sterilizzare anche quest’anno l’aumento dell’Iva, poi i soldi da trovare per soddisfare il liberismo fiscale della Lega: 14-15 miliardi secondo alcune vaghe stime per una misura che è cambiata in dieci mesi. Tria, che ha passato le ultime ore nella bocca del leone al vertice annuale dell’Fmi, si trova in un sentiero strettissimo perché, oltre all’irrealistico ma temibile piano di privatizzazioni, si è preso in carico anche la missione impossibile di rimodulare una serie imprecisata di detrazioni fiscali. «Vogliamo andare avanti nella riforma fiscale , ma questo nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblicata del Def».

QUEST’ULTIMA AFFERMAZIONE è destinata al Commissario Ue Pierre Moscovici, il poliziotto buono della coppia formata con Valdis Dombrovskis, che ieri ha ribadito: «L’accordo con la Commissione Ue va rispettato, specialmente sul deficit strutturale, non solo nominale». E poi ha ribadito: «Servono riforme strutturali vere e credibili e misure per la crescita. E non è questione di essere duri, ma il debito (previsto a oltre il 132%) deve calare. L’Italia soffre una situazione di stagnazione se non di recessione. È fonte di incertezza per tutta l’Eurozona». Una valutazione che ha fatto infuriare i Cinque Stelle che si affidano a una variazione congiunturale del Pil dello 0,1% attestata dall’Ufficio parlamentare di bilancio. L’esame è stato rinviato al 7 maggio, quando la Commissione Ue valuterà gli effetti del Def. A 20 giorni dalle elezioni sarà difficile fare sortite.

IL VALZER CONTINUERÀ fino all’autunno. l’equilibrismo di Tria ha evitato per il momento attacchi diretti, ma non sembra avere modificato il clima di sfiducia tra i suoi interlocutori. Poul Thomsen, responsabile del Dipartimento Europeo del Fondo Monetario Internazionale, ha espresso «forti riserve su parte delle riforme delle tasse che abbiamo visto in giro» in Italia. Stava parlando della «flat tax» e dell’estrema confusione che regna su una misura problematica. E ha specificato: «serve ridurre nel lungo termine l’esposizione» al debito sovrano, e «un consolidamento graduale»dei conti pubblici.

ED ECCOCI, DI NUOVO, al tema delle «privatizzazioni». In mancanza di crescita, si prova a fare cassa. Il problema è che le recenti misure ispirate alla stessa ricetta hanno fallito, e di molto. Basta dare uno sguardo alle cifre contenute nel «Programma nazionale di riforma» allegato al Def sulla cosiddetta «razionalizzazione delle partecipate», un capitolo di una vecchia «spending review» lanciata al tempo dei governi targati Pd. Al 30 settembre 2018 erano state cedute 572 su oltre 3.100 partecipazioni. Per un importo di «419 milioni». Una piccola anticipazione sui risultati degli annunci del governo. Per il momento Tria è riuscito a tenere l’angolo del ring e ha detto all’Fmi che ha fatto previsioni allarmistiche sul rapporto tra debito sovrano-sistema bancario: «L’Italia non è un rischio globale». E poi? Vedremo.

IL PRESIDENTE del Consiglio Conte ha cercato nel frattempo di fare il punto sul caos dei decreti approvati «salvo intese» e infallibilmente incagliati nella risacca. Ieri è stato il turno del pluriannunciato «decreto crescita». Lo stesso che contiene le norme sui rimborsi ai risparmiatori «truffati» dalle banche. Conte ha confermato che ci sarà la «liquidazione diretta o comunque rapida per tutti», compatibile con i vincoli europei.