Che succede nella mente di un ferroviere, messo in cassa integrazione? L’aspirazione da bambino di diventare un goleador, si trasforma nel desiderio di un trentenne di fare il talent scout di giovani calciatori per conto della Juventus, scorazzando in lungo e in largo sui campi del Salento, come ogni giorno ha fatto sui treni. È quanto racconta lo scrittore Carlo D’Amicis, finalista al premio Strega nel 2018 con Il gioco, nel romanzo Il Ferroviere e il golden gol (66thand2nd, euro 15,00).

La cassa integrazione è il risultato della tecnologia, che non ha più bisogno di manovalanza. Il ferroviere dopo aver percorso cinquecentomila chilometri sui treni delle Ferrovie Sud-est della Puglia, chiedendo in nome del berretto in testa ogni mattina sulle varie tratte pugliesi «Signori, biglietti» viene messo in cassa integrazione dalle macchinette obliteratrici e dalle auto Punto, che tanti ex viaggiatori dell’Intercity 571 hanno comprato e usano quotidianamente per andare a lavorare. Si vergogna di dirlo all’anziana madre con la quale vive che l’azienda gli ha comunicato che non serve più, lui che è figlio d’arte, assunto dalle Ferrovie pugliesi dopo un incidente mortale sul lavoro del padre. Ignorando la cassa integrazione, ogni mattina esce di casa con il berretto da ferroviere, in treno si nasconde in bagno e fa ritorno a casa a sera, commentando la giornata con l’anziana madre.

NUOVI IMPIEGHI
La sua fantasia vola, fino ad assumere il ruolo di osservatore della Juventus. In questa veste si presenta sui campi spelacchiati della periferia pugliese, contatta giovani promettenti, si intrufola nelle loro case per parlare con i genitori, contadini e spesso analfabeti, e come i grandi procuratori vecchia maniera ai quali bastava la stretta di mano che valeva come una firma sul contratto, per il ferroviere cassintegrato basta la parola, anzi una firma sul tovagliolo ancora sporco di sugo, da spedire a Torino alla sede della Juventus in via Crimea, la squadra di casa Agnelli-Fiat, l’azienda che produce le Punto, causa della sua cassa integrazione.

La fantasia del cassintegrato lo porta a identificarsi con la squadra più forte, quella degli Agnelli e di porsi al loro servizio, fino a immaginare che la squadra juventina guidata da Lippi approdi a Torre Ovo, nel Salento, per giocare con i ragazzi-promessa del calcio italiano della sua squadra Lisoform Traisporting, tra i quali spicca Lapelosa, giocatore dalle indiscutibili qualità calcistiche predestinato bianconero, secondo il ferroviere, ma affetto da agorafobia per il centrocampo e perciò condannato a stare sulla fascia laterale.

LA JUVE DEGLI OPERAI
Il protagonista del romanzo di D’Amicis, cresciuto a pane e Gazzetta dello Sport, è uno che sa tutto su campionato e coppe, partite e gol, passaggi e minuto in cui sono stati eseguiti, i nomi dei calciatori degli anni ‘70 e quelli di oggi. Il cassintegrato per due anni, prima del licenziamento, sceglie la squadra bianconera, si identifica con il team di L.M. iniziali di Luciano Moggi e si autoproclama osservatore della Juve di Lippi.

In tempi di crisi della politica, dell’assenza di qualsiasi ramificazione dei partiti sul territorio, la Juventus rappresenta una sorta di sostitutiva identità nazionale, soprattutto al sud, un fenomeno diffuso oltre ogni previsione, che coincide con la squadra dei padroni della Fiat, una fabbrica che ha richiamato manovalanza dal sud, soprattutto negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, i cui operai tifano Juventus.
Come evidenzia lo scrittore Tiziano Scarpa nella postfazione: «Visto che lo scopo della Juve è dare più Juve al maggior numero possibile di juventini, potrebbe succedere un giorno che una gran massa di ex ferrovieri, che abitano dall’altra parte dell’Italia rispetto a Torino, per nulla rivoluzionari, semplicemente juventini all’ennesima potenza, pretendano ancora più Juve dalla Juve». Il ferroviere in cassa integrazione raccontato da D’Amicis è l’incarnazione ossessiva di una colonizzazione juventina del tifo italiano e pretende un risarcimento, il riconoscimento del suo ruolo di osservatore della Juventus, anche se la sede di via Crimea risponde con una denuncia per millantato credito.

ARIA DA BAR SPORT
Nel romanzo Il ferroviere e il suo golden gol, si respira un’aria nuova, non più un linguaggio teso fino allo spasimo, come è capitato leggere negli ultimi anni nei romanzi dedicati al calcio, ma una scrittura fondata sui costrutti della lingua italiana che assorbe il dialetto pugliese, mantenendo viva la lingua del popolo, la lingua del ferroviere mai uscito dalla Puglia.

D’Amicis ha il pregio di tenere tesa la corda dell’ironia, non rinunciando alla battuta da bar sport sotto casa; un andamento che si manifesta anche con una lingua vivace, che gioca volentieri con le parole: «Se in serie A non sembrava esserci mai stato niente – nemmeno i lampi di genio di Platini – che si vedesse più chiaramente, nella mia vita l’oscuro lavoro restava in effetti del tutto oscuro, e non c’era nessuno che pareva disposto a metterlo in luce».