Famiglia benestante, una bella moglie, due figli, nella comunità evangelica a cui appartiene Pablo rappresenta la sintesi perfetta di un uomo – di un maschio – riuscito. Però accade che questo irreprensibile quarantenne si innamora di Francisco, un ragazzo che ha scelto di vivere senza lasciarsi schiacciare dalle convenzioni. Questa cosa scatena in Pablo (Juan Pablo Olysager) una tempesta, lo devasta, fa tremare ogni sua certezza proprio come le scosse del vulcano fanno vibrare la città in cui vive. Tremors è diretto da Jayro Bustamante, guatemalteco, nome di punta nel cinema mondiale (a rivelarlo era stato Ixcanul, 2015, girato nella lingua della protagonista, Maria, una giovane donna maya) è il film scelto dal Festival Mix di Milano come evento per la XVI giornata contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia, la transfobia, domenica 17, un’iniziativa che vuole essere anche un’anticipazione della prossima edizione del Festival – la trentaquattresima – che doveva svolgersi in giugno ma vista l’emergenza sanitaria, tra l’altro particolarmente aspra nel capoluogo lombardo, è stata posticipata al prossimo 17 -20 settembre, con l’ipotesi di una forma «ibrida» tra digitale e spazi live, Sulla piattaforma di Mymovies.it invece andrà Tremors (prenotazioni aperte qui: https://www.mymovies.it/film/2019/tremors/live/) con una sala virtuale di 1000 posti, alle 21.00.

«LA SOCIETÀ guatemalteca è molto macha, e la struttura federale non aiuta i cambiamenti, anzi frena ogni progresso, dando potere a persone ignoranti, ancorate ai propri scopi, a cui non interessa che vengano rispettati i diritti civili perché il popolo non ha diritti» dice Bustamante parlando del film. E questo dramma sentimentale che inghiotte i due protagonisti, specie Pablo in quanto costretto a compiere una scelta di cesura radicale con sé stesso e la sua storia, a partire da una dimensione personale disegna la violenza di una struttura sociale e religiosa legata allo specifico ma con una forte cifra di universalità.

QUANTE volte infatti abbiamo sentito di «rieducazioni» messe in atto contro le scelte di gender, contro i desideri, la libertà del corpo e del cuore, in nome di un qualche codice d’apparenza da salvaguardare e da difendere con accanimento a ogni costo? In quella borghesiaa cui appartiene il personaggio di Pablo – «Ma – dice sempre Bustamante – i poveri non hanno nemmeno il tempo di accanirsi, in Guatemala sono troppo impegnati a cercare di sopravvivere» – la necessità è dominare, reprimere, soffocare scegliendo strade dolorose, che tutelino lo status, il potere, i legami di soldi e di favori con la chiesa che spinge a soffocare lo scandalo. Come ribellarsi nella fuga che porta Pablo a vivere in luoghi miseri, nascosto, che gli toglie tutto, i figli, il lavoro, gli affetti, ogni bene? E l’amore, il sentimento dove rimangono in questa battaglia?

C’È MOLTO di universale appunto pensando alle sopraffazioni che nel mondo vengono messe in atto, legalizzate persino, contro le differenze di genere, in Russia o in Iran o nei paesi del Golfo, da ogni religione che si fa legge, dal «senso comune» pure il più democratico che ancora fatica a non giudicare bullizzando, aggredendo, spaventando. È dunque una scelta questa che bene esprime anche il lavoro del festival milanese negli anni – questa edizione diretto da Debora Guma, Andrea Ferrari, Paolo Armelli – lo sforzo cioè di costruire un circuito resistente a barriere e diffidenza. Atteggiamenti che in questa pandemia hanno circolato non poco, contro i quali è sempre bene vigilare, e l’immaginario è arma potente.