Sotto un cielo fosco il castello normanno di Monte Sant’Angelo campeggia sull’ultimo volume monografico del «Giannone», il periodico semestrale che, dal Gargano, Antonio Motta dirige con generosità da quasi vent’anni. Abbandonato momentaneamente il Novecento letterario italiano, terreno privilegiato della rivista e della serie, l’illustrazione di questo nuovo numero (35-36, gennaio-dicembre 2021) annuncia un omaggio originale ad Armando Petrucci (1932-2018), il grande paleografo e studioso della cultura scritta. Il padre di Petrucci, infatti, Alfredo, incisore, scrittore e storico dell’arte, autore dell’acquaforte in copertina, proprio dal promontorio pugliese partì per la capitale nel 1922, lasciando però dietro di sé legami duraturi di amicizia e di cultura. Di conseguenza, le origini famigliari furono da subito un movente aggiunto per la ricerca del romano Petrucci, come mostrano gli Scritti garganici e pugliesi qui ottimamente riediti da Nunzio Bianchi (con interventi puntuali di Pasquale Cordasco, e, per la scuola petrucciana, Attilio Bartoli Langeli e Antonio Ciaralli): una testimonianza eloquente, ma persa di vista nella sua organicità, del lungo interesse per la storia culturale di una terra fortemente segnata da passaggi e da incontri di popoli.
In questi scritti, accademici e divulgativi, riorganizzati lungo cinque direttrici (Storie tremitensi, Studi micaelici, Studi garganici, Saggi di paleografia, Lungo l’asse pugliese), lo sguardo dello studioso – al solito curioso e acuto, tecnico e ironico – abbraccia dall’alto del «monte sacro» sia le vicine Tremiti, sia un’ampia porzione della regione che si apre ai suoi piedi, giù verso Bari e Taranto, inseguendo le vicende dei «fatti grafici» tra Longobardi e Bizantini, Normanni e Svevi, fino ai feudatari di età angioina; ma anche ricomponendo profili individuali, come quelli di personalità pugliesi scritti per il Dizionario biografico degli Italiani, riproposti alla fine del volume. Come sempre in Petrucci, la storia delle scritture investe anche qui, anche nelle incursioni più episodiche, alfabetizzazione e cultura, società e potere, pratiche e memoria. Una comunità in particolare, il monastero benedettino di Santa Maria nelle isole Tremiti con il suo archivio e la sua biblioteca, fu al centro dell’attenzione di Petrucci fin dalla tesi di laurea negli anni cinquanta. Dislocato tra Puglia e Dalmazia, il monastero fu il più importante centro economico dell’area garganico-abruzzese tra XI e XII secolo: i documenti furono raccolti e studiati nei tre fondamentali volumi del Codice diplomatico del monastero benedettino di S. Maria di Tremiti (1960), di cui è qui riproposto un ampio stralcio dall’introduzione.
Scritture e documenti dialogano felicemente con le testimonianze archeologiche e artistiche negli studi dedicati al santuario di San Michele Arcangelo, crocevia della storia religiosa medievale d’Europa e del Mediterraneo, e per secoli luogo di culto, pellegrinaggio e leggende. Così come la storia delle scritture nelle sue varie manifestazioni, dall’epigrafia romana alle pratiche documentarie, fin dentro alla prima età moderna, connette le vicende di altri centri importanti di area garganica, quali Siponto o Manfredonia. O ancora Lucera, di cui, alla fine di un quarantennio di scritti «pugliesi», Petrucci diede l’edizione dei più antichi documenti del Comune insieme con Franca Nardelli, compagna di vita e di studi.
Il Petrucci paleografo brilla in particolare nella quarta sezione del volume, dove a un importante saggio di insieme del 1968 su Scrittura e cultura nella Puglia altomedievale si affiancano le ricerche sulle origini e lo sviluppo della beneventana «tipo di Bari», la peculiare scrittura libraria che si diffuse nella Puglia centrale (e in alcuni centri costieri della Dalmazia) tra XI e XIII secolo. La stessa direzione conduce a quelle straordinarie testimonianze librarie della Puglia medievale costituite dagli Exultet, i rotoli liturgici illustrati della Cattedrale di Bari e dell’Archivio Capitolare di Troia, su cui si può rileggere qui quanto Petrucci scriveva nella prefazione al volume che un altro protagonista degli studi sul libro antico e medievale, Guglielmo Cavallo, dedicò a questi manoscritti, per molti versi unici, nel 1973. Da studioso della comunicazione scritta in tutte le sue forme e da intellettuale del Novecento, Petrucci fu un attento lettore di giornali e vi collaborò a lungo (lo confermano anche gli Scritti civili pubblicati da alcuni suoi allievi presso Viella nel 2019). Giovanissimo, vi disseminava già pagine dotte ed efficaci, come un prezioso affondo sulla storia di Taranto nel IX secolo, tra Bizantini, Longobardi e Arabi, a partire da un atto di donazione conservato a Montecassino, articolo affidato nel 1955 a La voce del popolo, lo storico quotidiano della città ionica, e qui pure recuperato. Un inaspettato itinerario regionale, dunque, che ci restituisce un maestro degli studi umanistici nella sua cifra autentica.