Tregua congelata, a Damasco battaglia per l’acqua
Siria Esercito Libero e islamisti sospendono il cessate il fuoco e accusano di violazioni il governo che ribatte: il target è l’ex al-Nusra
Siria Esercito Libero e islamisti sospendono il cessate il fuoco e accusano di violazioni il governo che ribatte: il target è l’ex al-Nusra
Tregua congelata: è l’annuncio di Esercito Libero Siriano e Jaysh al Fatah, federazione di gruppi islamisti tra cui Ahrar al-Sham ma anche l’ex al-Nusra. Il negoziato previsto per questo mese ad Astana, aggiungono, è sospeso. Il motivo sono «le violazioni» compiute dal governo nei primi giorni di cessate il fuoco. In particolare, scrivono, «il regime e i suoi alleati non hanno interrotto il fuoco e hanno compiuto frequenti violazioni, soprattutto nelle zone di Wadi Barada e Ghouta est».
Le due comunità intorno a Damasco sono teatro negli ultimi giorni di scontri tra i due fronti, ma le fonti locali non sanno dire con certezza chi abbia iniziato e quali milizie siano coinvolte. Secondo Damasco, i raid hanno avuto come target i qaedisti dell’ex al-Nusra, esclusi dalla tregua dello scorso giovedì insieme all’Isis e ai kurdi di Rojava.
Il braccio siriano di al Qaeda (fuoriuscito a luglio dalla casa-madre per mera convenienza, non per un allontanamento da ideologia o strategia) è accusato di aver introdotto del carburante nella rete idrica a Wadi Barada, dove si trova l’omonimo fiume che copre il 70% del fabbisogno della città, interrompendo l’afflusso d’acqua corrente verso la capitale: dal 22 dicembre, dicono le Nazioni Unite, quattro milioni di damasceni sono senz’acqua.
E l’avanzata governativa nella zona – circondata dall’esercito da metà 2015 – continua, sebbene le opposizioni considerate legittime insistano nel dire che dell’ex al-Nusra non c’è traccia. Eppure gli stessi gruppi della federazione Jaysh al-Islam ne sono alleati, un’ipocrisia che indebolisce alla base la soluzione politica da cercare in Kazakistan.
Di date certe non ce ne sono ancora: la scorsa settimana uno dei consiglieri dell’inviato Onu de Mistura indicava il 20 gennaio come limite massimo. Prima dell’entrata alla Casa Bianca del nuovo presidente Trump. Subito dopo, l’8 febbraio, si aprirà il previsto tavolo delle Nazioni Unite che potrebbe seguire le orme tracciate da quello russo-turco.
Ma resta da vedere cosa uscirà dal campo di battaglia, se la tregua sarà in grado di reggere. È possibile che la Turchia, interessata a salvaguardare il rinnovato rapporto con la Russia e allo stesso tempo a non veder definitivamente distrutti i gruppi islamisti sostenuti per anni, ci metta una pezza. Dopotutto Mosca ha mostrato al momento l’intenzione di non colpire Idlib, dove gli islamisti evacuati da Aleppo sono stati trasferiti.
Sarebbero stati portati anche lungo il confine turco dove oggi Ankara gode del sostegno russo: proseguono i raid congiunti su al-Bab, controllata dall’Isis. Ma, come riportano ogni giorno i media indipendenti kurdi, l’obiettivo non è lo Stato Islamico: ieri il distretto di Manbij (dichiarato obiettivo del presidente Erdogan) è stata bombardata dai jet turchi, ferendo 15 civili e uccidendone due.
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