Quattro giovani palestinesi uccisi, 390 feriti o contusi. Per Gerusalemme Est è stata una delle giornate più insanguinate degli ultimi anni. Cariche della polizia israeliana contro manifestanti palestinesi, con fuoco ad altezza d’uomo, come quelle di ieri non si vedevano dal 2014, quando le tensioni e la rabbia innescate dall’omicidio del 15enne Mohammed Abu Khdeir, compiuto da estremisti israeliani per vendicare il sequestro e l’assassinio di tre adolescenti ebrei, per giorni trasformarono la zona araba di Gerusalemme Est in un campo di battaglia. Quanto si è visto ieri è stata la ovvia conseguenza della decisione del premier israeliano di non rimuovere – malgrado, secondo i media, il parere favorevole dei servizi di sicurezza – i metal detector installati ad alcuni degli ingressi della Spianata delle moschee di al Aqsa e della Roccia dopo l’attacco armato palestinese della scorsa settimana (due poliziotti uccisi).

Giorni di trattative frenetiche e di pressioni arabe su Washington per spingere Israele a revocare le nuove misure, gli scontri notturni tra palestinesi e polizia nei quartieri di Silwan e Issawiyeh, non hanno scosso in alcun modo Benyamin Netanyahu che ha confermato, «per ora», l’impiego dei metal detector e di altri sistemi di controllo di chi varca gli ingressi della Spianata. È stata una decisione politica anche se il premier spiega di aver fatto la sua scelta sulla base delle motivazioni offerte dalle forze dell’ordine. Una prova di forza in realtà, per dire ad arabi e palestinesi che Israele non cede alle pressioni e conferma le sue rivendicazioni sulla Spianata, che per gli ebrei è il Monte del Tempio. Il portavoce della polizia, Micky Rosenfeld, ha parlato chiaro: «I metal detector rimarranno dove sono per settimane, per mesi se necessario». Per i palestinesi si tratta di una palese violazione di uno status quo che non assegna in alcun modo a Israele l’esclusiva della sicurezza e del controllo del sito religioso.

L’esercito israeliano ieri aveva predisposto dozzine di posti di blocco ovunque in Cisgiordania per fermare i palestinesi diretti a Gerusalemme, in risposta all’appello lanciato dalle autorità islamiche e dai partiti politici in difesa di al Aqsa. I militari hanno bloccato prima degli ingressi in città decine di autobus e automobili. La polizia da parte sua ha negato l’accesso all’area delle moschee ai palestinesi maschi con meno di 50 anni. Nonostante ciò migliaia di palestinesi residenti a Gerusalemme si sono diretti in massa verso la Spianata, con l’intenzione però di pregare in strada, in modo da non legittimare i metal detector installati da Israele. Ad attenderli c’erano circa 3mila poliziotti schierati prima dell’alba in tutta la zona. Già prima della preghiera erano scoppiati scontri davanti alla Porta di Damasco e alla Porta dei Leoni, la più vicina alla Spianata. Piano piano si sono diffusi in vari quartieri della zona araba di Gerusalemme, infine hanno raggiunto Betlemme, Hebron, Qalandiya e altri centri abitati della Cisgiordania. La polizia a Gerusalemme ha prima lanciato granate assordati e lacrimogeni, poi ha aperto il fuoco. Filmati che girano in rete mostrano la violenza delle cariche dei poliziotti in assetto antisommossa e appoggiati da automezzi pesanti. Si sono riviste scene dell’Intifada e degli scontri del 2014 in una città che si vorrebbe “pacificata” sotto il controllo totale di Israele. Non a caso il ministero degli esteri israeliano ieri diffondeva tweet per invitare i turisti a visitare la città vecchia perché era tutto «sotto controllo».

La prima vittima, Mohammad Sharaf, però non è stata colpita dalla polizia nei pressi della Spianata ma nel quartiere di Ras al-Amud, di fronte alla città vecchia, da spari di un “civile” israeliano – probabilmente un abitante della colonia ebraica costruita in quella zona qualche anno fa dal miliardario australiano Mosckoviz – in circostanze che ieri sera non erano state ancora chiarite. Un altro giovane palestinese, Muhammad Abu Ghanam, ferito al Monte degli Ulivi durante gli scontri con la polizia, si è spento all’ospedale Makassed. Entrambi sono stati seppelliti subito dalle famiglie timorose che la polizia potesse confiscare i loro corpi. Gli agenti in ogni caso non hanno mancato di lanciarsi in blitz negli ospedali per arrestare i feriti, 390 secondo fonti della Mezzaluna rossa: la maggior parte intossicati dai gas lacrimogeni, 38 a Gerusalemme e 66 in Cisgiordania da pallottole vere e proiettili di gomma. Tra i feriti ci sono anche cinque gli agenti di polizia israeliani. Il terzo palestinese ucciso, Muhammad Khalaf, è stato colpito durante una manifestazione ad Abu Dis, un sobborgo di Gerusalemme che si trova dietro il Muro costruito da Israele intorno alla città. Khalaf era un attivista del Fronte democratico per la liberazione della Palestina.

Una notte gonfia di dolore e rabbia è scesa ieri sera su Gerusalemme Est. L’inizio di una nuova Intifada non è più lontano.