Tempo fa il compositore Alessandro Greggia e il tenore Costantino D’Aniello si sono cimentati in una versione classica di Sciroppo, brano del 2018 di Sfera Ebbasta. Una discutibile boutade per un magazine live, in cui i sorrisetti che anticipavano e poi seguivano la breve esibizione davano sostanza al pregiudizio che colloca la musica trap a prodotto culturale minore, prevedibile, che fa numeri importanti grazie a chi non è depositario di nessun grado di erudizione. Come scaturisce il fastidio verso questo genere della (sub)cultura giovanile? Una domanda che si pongono Sebastiano Benasso e Luca Benvenga, curatori del libro collettivo Trap, sottotitolo: Suoni, segni e soggettività nella scena italiana (Novalogos, pp. 266, euro 20).Ma questo libro è un percorso di decodifica anche di un tipo di identità di periferia, in cui l’appartenenza e la trasgressiva biografia dei trapper sono sia molla per l’emancipazione

AMPIE SONO le riflessioni, non si tratta solo di «cattivo gusto» i preconcetti derivati dalla trap sono legati al successo commerciale che la allontana dalla sensibilità underground, oppure da una sonorità confusa che si percepisce come standardizzata seppur frutto dalla democratizzazione dei mezzi di produzione, dall’autocelebrazione, dai controvalori espressi che esaltano lo spirito neoliberale e quindi la ricchezza, o anche da una presupposta irrilevanza della maturità artistica, imputata dall’uso dell’Auto-tune che storpia la voce propiziando un minore rispetto della metrica e quindi un approccio più improvvisato. Ma questo libro è un percorso di decodifica anche di un tipo di identità di periferia, in cui l’appartenenza e la trasgressiva biografia dei trapper sono sia molla per l’emancipazione, che, paradossalmente, antidoto alla violenza istituzionale della società che applica un’azione di marginalizzazione.

UNA FORMA contradditoria di antagonismo politico, rovesciato a quello ideologico e definito per esempio delle Posse, con un’opposizione simbolica, spontanea e che vige nell’assolutismo del presente, che opera sia la liberazione personale che del ghetto di provenienza. I vari autori, con un taglio filosofico, sociologico e antropologico, analizzano le tematiche delle canzoni, l’estetica, le complessità della dimensione pubblica di questi artisti e il dibattito che gli ruota intorno, l’immaginario identitario che affascina anche i giovani abbienti, la repressione fagocitata dal panico morale dei media, la tecnologia. Un libro che apre ragionamenti sul presente non solo della musica, ma anche delle diseguaglianze e dei privilegi che mai compaiono nei curriculum.