Lunedì alle 16 i capigruppo del senato, convocati ieri dalla presidente Casellati, decideranno i tempi della crisi. La mozione di sfiducia della Lega, con il capo dei senatori Romeo primo firmatario, era arrivata poco prima. Il testo, dopo aver segnalato la spaccatura sulla Tav, cioè «su una questione fondamentale come lo sviluppo delle infrastrutture», bersaglia direttamente il premier che «non era presente in aula per ribadire l’indirizzo favorevole alla realizzazione dell’opera che egli stesso aveva dichiarato». È la risposta leghista al durissimo comunicato scandito nella notte dallo stesso Conte, un atto di accusa esplicito, ma anche farcito di stilettate allusive, contro Salvini.

LA MOZIONE della Lega era una mossa inevitabile dopo che Conte, del tutto spalleggiato dal capo dello Stato, aveva dichiarato di voler seguire la via maestra, la parlamentarizzazione della crisi. Un passaggio impossibile senza un atto formale, non essendo le parole, i ruggiti e gli arroganti diktat di Salvini motivo sufficiente per convocare le camere in pieno agosto il parlamento chiuso per ferie. Nel frattempo Conte ha scritto ai presidenti di camera e senato, dicendosi «pronto a comunicazioni a seguito della crisi di governo». È disponibile, ma non è lui a mettere fretta.

La conferenza di lunedì sarà una battaglia. Alcuni capigruppo, certamente il 5S Patuanelli e la presidente del misto De Petris, forse anche il Pd Marcucci, cercheranno di far slittare i tempi. Potrebbero impugnare la mozione di sfiducia a Salvini che, essendo stata presentata prima con discussione rinviata perché le camere erano chiuse, dovrebbe avere la precedenza. Regolamento alla mano è comunque quasi certa la convocazione del senato per il 19 o più probabilmente il 20 agosto.

PER MATTARELLA quel dibattito avrà il valore di una vera e propria consultazione, alla quale potrebbero persino non seguire consultazioni ulteriori, se dal dibattito non emergessero elementi tali da far ritenere utile al presidente l’approfondimento. Insomma, se tutti dichiarassero l’intenzione di votare, che utilità ci sarebbe nell’avviare un giro di consultazioni? Comunque lo scioglimento non sarebbe immediato. È infatti escluso che questo governo possa gestire la fase elettorale. Mattarella sceglierebbe quindi un presidente incaricato tecnico, che si presenterebbe poi a incassare la sfiducia con una squadra composta solo da figure decise a non candidarsi, tra le quali ci sarebbero quasi certamente Tria e Moavero. Solo dopo quella sfiducia, nell’arco di una settimana e anche meno dal dibattito parlamentare, arriverebbe lo scioglimento vero e proprio.

Le cose andrebbero diversamente se dal dibattito emergesse la volontà di alcuni partiti di portare avanti la legislatura almeno per il tempo necessario a garantire la messa in sicurezza dei conti e alcuni altri passaggi essenziali. Certo non potrebbe più trattarsi di un governo dei 5S con appoggio esterno del Pd e di altri senatori, per esempio i 15 del misto o gli 8 delle autonomie: quella strada, percorribile all’inizio della legislatura è oggi bruciata. Dovrebbe invece essere affidato al governo di garanzia elettorale un mandato più ampio. Mattarella non ha alcuna intenzione di rallentare i tempi e tanto meno di indirizzare l’esito della crisi, ma se emergesse questa possibilità, tanto più nel corso del dibattito al quale il Colle attribuisce massima importanza, certo non mancherebbe di verificare sino in fondo le chance reali di quel percorso.

MA QUELLE CHANCE esistono o sono solo una leggenda di palazzo? Di certo le teme Salvini, al quale sono sicuramente arrivate le voci di un’offerta di Renzi ai 5 Stelle che, scavalcando Zingaretti, prevederebbe la disponibilità dei gruppi Pd (in gran parte ancora renziani) a votare un esecutivo Fico che avesse come obiettivo quello di approvare definitivamente il taglio dei parlamentari e cancellare la quota maggioritaria dalla legge elettorale. Scenario quasi da fantascienza visto quello che si sono detti Renzi e Di Maio fino a ieri. In ogni caso un super vertice grillino (con Casaleggio) ha prodotto come unica linea di resistenza alla fretta leghista la richiesta di votare la riforma costituzionale che «taglia le poltrone» prima di sciogliere le camere.

SALVINI HA CONVOCATO tutti i suoi parlamentari a Roma lunedì alle 18, quando probabilmente sarà ancora in corso la capigruppo e promette di restare nella Capitale per esercitare il massimo della pressione. «No inciuci! No governi tecnici! No giochini di palazzo», twitta battagliero. E spiega: «Sento toni simili tra Di Maio E Renzi. Sarebbe incredibile un governo Renzi-Di Maio». La reazione dei 5S è beffarda e stizzita: «Caro Salvini, stai vaneggiando», recita la nota del leader politico. Che resterà tale anche in campagna elettorale anche se il frontman sarà Di Battista.

Qualche possibilità di provare a dar vita a un’altra maggioranza invece c’è. In nome dell’emergenza democratica, perché di fronte a un leader che chiede «i pieni poteri» l’allarme è giustificato e la situazione economica nei prossimi giorni potrebbe diventare drammatica. Zingaretti è di parere opposto, rema verso il voto il prima possibile. Ma al senato il grosso del gruppo, tra i 35 e i 42 senatori, risponde a Marcucci, cioè a Renzi. Molto si capirà comunque già dal voto: perché senza l’appoggio del Pd e di Fi, la mozione di sfiducia sarebbe sconfitta. Sempre che a quel voto si arrivi e non è facile. Conte quasi certamente lo anticiperà dimettendosi dopo il dibattito.