In Una storia americana (Mondadori, pp. 190, euro 17) Francesco Costa – vicedirettore de Il post, autore di un podcast prodotto da Piano P, della newsletter Da Costa a Costa e di Questa è l’America (Mondadori, 2020) – mette a specchio le carriere politiche del neo presidente Joe Biden e della vice presidente Kamala Harris, analizzandone i momenti salienti, cercando di contestualizzare le loro scelte decisive e talvolta apparentemente contraddittorie.

MA IN REALTÀ lo sfondo del libro è il ruolo che il tema della giustizia ha nella politica americana, dove l’elettività dei giudici e il loro peso politico rende peculiare e spesso decisive le sue dinamiche. Un tema che possiamo scorgere sia applicato alla gestione della criminalità – come capita a Harris, prima donna nera a diventare procuratrice generale della California -, sia alla più generale vita politica. A questo proposito Costa racconta la vicenda della nomina – che infine non verrà ratificata – del giudice conservatore Robert H. Bork alla Corte suprema, evento che costituirà una svolta nella storia di Biden, allora (era il 1987) presidente della commissione giustizia del Senato e da appena 17 giorni candidato – e favorito – alle primarie democratiche per la presidenza.

La gestione di quel caso finirà per limitarne le possibilità politiche, relegando Biden sì a un ruolo di grande peso nella politica americana, ma senza consentirgli il salto verso la Casa Bianca. La giustizia, e la sua declinazione attraverso leggi per controllare la criminalità dilagante negli anni ’90, costituirà inoltre il perno di altri momenti decisivi per Biden e Harris. Nel suo ruolo di legislatore e di grande tessitore di compromessi, Biden si impegnò a far approvare un quadro legislativo che sarà votato anche da Sanders, ma che negli anni successivi gli sarà rinfacciato come un impianto teso a peggiorare le condizioni delle carceri e più in generale della giustizia sociale (nonostante quella legge, il Crime Bill, votato nel ’94, risentisse del clima dell’epoca con una tendenza alla tolleranza zero tanto tra i democratici, quanto tra i repubblicani).

Per Harris, catapultata all’interno di questo momento decisivo per gli Stati Uniti, gli anni ’90 saranno quelli della ricerca di un equilibrio tra istanze di giustizia sociale e necessità di tenere fede al proprio ruolo di procuratrice in contatto costante con le forze dell’ordine (ruolo che le è stato ricordato anche di recente, con l’epiteto di «poliziotta»).

SIA BIDEN CHE HARRIS, scrive Costa, hanno modificato alcune loro posizioni, fino a rivederle quando non a rigettarle. Contraddizioni che non scavano però solo negli aspetti personali dei due politici, rappresentando in realtà le contraddizioni dell’America. Costa ha il grande merito di raccontare le vite di Biden e Harris inserendole all’interno dei grandi temi che hanno caratterizzato la politica americana dell’ultimo quarto di secolo, permettendo di scorgere atteggiamenti e modus operandi che potremo verificare e osservare durante il loro mandato. La vita del libro, inoltre, prosegue oltre il libro stesso: in questo senso Costa, attraverso le sue attività sui social, tiene vivo l’interesse per gli Usa agganciandolo alla quotidianità, dimostrando una grande verità dei nostri tempi, ovvero che per un giornalista, oggi, la scrittura di un articolo o di un libro non è che l’inizio di un percorso da curare, perfezionare e far crescere.