Venti giorni dopo, la stessa orrenda scena si è materializzata davanti agli occhi dei soccorritori di un barcone alla deriva nel Canale di Sicilia. Diciotto corpi senza vita erano ammassati nella stiva del peschereccio partito dalla Libia con circa 400 profughi e migranti a bordo e soccorso ieri mattina all’alba in acqua maltesi dalla marina dell’isola-Stato a 64 miglia dalla costa sud di Lampedusa. Morti per intossicazione da fumo, uccisi per asfissia dalle esalazioni di monossido di carbonio che riempivano gli angusti locali. Tra loro altre tre persone sono state trovate in fin di vita: un uomo è deceduto mentre veniva trasferito verso la guardia medica di Lampedusa e altri due sono ricoverati in Rianimazione nell’Ospedale Civico di Palermo.

Diciannove morti che vanno ad aggiungersi alle 500 vittime del Mediterraneo stimate dall’inizio dell’anno e fino al 2 luglio scorso dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). Stessa sorte era toccata alle 45 persone trovate cadavere nella stiva del natante arrivato nel porto di Pozzallo appena tre settimane fa, il 29 giugno scorso, con 600 migranti a bordo.

Ieri mattina i primi soccorsi al peschereccio partito dalla Libia, un’imbarcazione in legno lunga 25 metri da cui era stato inviato un Sos alle quattro di notte, sono stati dati, secondo quanto ricostruito dalla Guardia costiera italiana, da un mercantile danese che lo aveva avvistato al confine tra le acque libiche e quelle maltesi e che aveva dato l’allarme. Le autorità di Malta, che hanno diretto l’operazione, hanno chiesto poi aiuto all’Italia che ha inviato sul posto due motovedette con a bordo personale medico e ha dirottato sul posto altri due pescherecci. Nel frattempo, il mercantile privato battente bandiera danese ha raggiunto immediatamente il barcone e ha raccolto i profughi per trasportarli in un non meglio precisato «porto italiano», lasciando alla marina maltese il compito di trasferire a La Valletta le 18 vittime.

Fonti della Marina militare italiana riferiscono che negli ultimi due giorni sono stati soccorsi, nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum, 3.510 persone a bordo di natanti che solcavano lo Stretto di Sicilia. E da ottobre ad oggi sarebbero oltre 80 mila i migranti tratti in salvo utilizzando le navi militari. È invece un altro mercantile privato, il panamense «City of Sidon», quello che ha soccorso giovedì un gommone che imbarcava acqua a 36 miglia a Nord di Tripoli con a bordo 61 migranti di origine subsahariana – provenienti da Gambia, Mali e Ghana, con una sola donna – e sul quale, secondo quanto dichiarato dagli stessi naufraghi, erano saliti in 102. Sarebbero dunque 41 le persone cadute in mare durante la traversata anche se, al momento, dei corpi non è stata trovata traccia. I sopravvissuti sono stati trasportati ieri a Porto Empedocle (Ag), dove è giunto anche il mercantile liberiano Jamila con a bordo 206 uomini, e dove dall’inizio dell’anno, esclusi gli ultimi arrivi, sono sbarcate 8.280 persone. A Pozzallo, poi, la polizia ha fermato un tunisino di 27 anni, ritenuto lo scafista dello sbarco di 251 migranti avvenuto venerdì mattina nel porto ragusano, dopo che uno dei profughi ha raccontato di come venissero vessati e picchiati dagli scafisti, in un barcone talmente pieno da non potersi sedere e con il divieto assoluto di salire in coperta per coloro ai quali sfortunatamente era toccato un posto nella stiva. Duemila sono invece le persone giunte a Salerno ieri mattina, tra loro oltre 200 donne, 195 bambini e anche alcune famiglie palestinesi.

«I problemi non si risolvono con gli spot dei politici in cerca di voti – ha detto ieri il premier Matteo Renzi, in missione in Africa – Se vogliamo davvero risolvere la questione dell’immigrazione, dobbiamo intervenire nei Paesi da cui l’immigrazione parte e dare occasioni di sviluppo, di benessere, di pace e di libertà. Serve ciò che stiamo facendo in Mozambico, non slogan o spot di qualche ideologo con la camicia colorata. Noi dobbiamo discutere e cercare più risorse per Frontex Plus ma il problema dell’immigrazione va risolto alla radice».

Ci ha provato, a modo suo, il ministro degli Esteri Federica Mogherini a colloquio al Cairo con il presidente egiziano al-Sisi: «Abbiamo discusso di come provare a stabilizzare la situazione in Libia in sede Onu – ha riferito la ministra – e provare a fare in modo che ci sia presto un governo in Libia capace di controllo del territorio, controllo delle frontiere e anche di gestire il flusso di rifugiati che attraversa il Paese e che poi determina questi drammi del mare che noi vediamo purtroppo molto spesso».