Il Casino Farnese risale al 1495, voluto come sua residenza da Alessandro Farnese, papa Paolo III, con orti e giardini affacciati sul Tevere. All’ultimo piano del Casino, a Trastevere in via della Lungara, ha trovato sede il Circolo Scandinavo, fondato nel 1860. Dal 1975 il Circolo ospita in residenza temporanea artisti che arrivano dai paesi nordici. Sorge di fronte a Palazzo Corsini, dove Kristina, regina di Svezia, trascorse gli ultimi 35 anni della sua vita, conclusasi nell’aprile 1689.

Recentemente è stata ospite del Circolo Ósk Vilhjálmsdóttir, artista islandese che attraverso dipinti, sculture, video, istallazioni e workshop è da anni in prima fila nel difendere i diritti della natura, animale, vegetale e minerale. Tra le sue esperienze anche due decenni come guida tra le montagne, i ghiacciai e i vulcani dell’Islanda.

Dall’ampio terrazzo del Circolo Scandinavo racconta di sé e della sua arte: «Sono nata a Reykjavík nel 1962 in ottobre, anche i miei genitori sono islandesi, si sono conosciuti nell’Art Academy di Edinburgo, mia madre insegnava arte e mio padre architettura quindi i miei primi anni li ho trascorsi in Scozia. Tornati in Islanda mio padre lo vedevo poco, Reykjavík stava espandendosi e c’era molto lavoro per gli architetti. Mia madre Borghildur Óskarsdóttir è una scultrice, lavora con l’argilla ma fa anche batik, tessuti con motivi psichedelici, abiti hippy, a volte dipinge. È sempre stata nel movimento femminista, mentre mio padre viene da una famiglia molto borghese, giocava a scacchi col presidente dell’Islanda. Nella famiglia di mia madre erano socialisti. In quegli anni c’era la guerra fredda, e fin da piccola ero in mezzo a queste due tendenze, mio padre a destra e mia madre a sinistra, e di volta in volta dovevo decidere da che parte stare, ed era difficile anche per mia madre, aveva 19 anni quando sono nata e a 22 ha avuto un’altra figlia. Vivevamo in in sobborgo di Reykjavík molto conservatore, mia madre non ci stava bene, era vista come una strana, faceva yoga. Da lì ci trasferimmo al centro della città dove ancora vive. Sono cresciuta in questo perenne conflitto famigliare, che diventava esplicito nelle cene di natale che riunivano la famiglia di mio padre e quella di mia madre, si sedevano chi da una parte e chi dall’altra, e io bambina dovevo decidere da che parte sedermi. C’erano le sorelle di mia madre, Gunnar e Roska (1940-1996 ndr.) che mi piaceva un sacco, avevamo un bel rapporto. A differenza di Roska mia madre era calma, tranquilla, mentre mio padre aveva un carattere più simile a quello di Roska e questo li metteva in aperta opposizione.

 

Osk al Circolo Scandinavo (ph. Massimo De Feo)

Come sei diventata un’artista?
Non pensavo di diventare un’artista, mi interessava la storia, la biologia, la musica, suonavo il clarinetto. Ma a 19 anni sono andata a Parigi, ospite nella casa della sorella di Manrico, il compagno di Roska. In quell’inverno studiavo la storia di Francia ma andavo tantissimo al cinema, ogni mattina, Pasolini, Antonioni, Fellini, Truffault, Godard, e nei musei e da lì la mia decisione…voglio essere un artista.

Eri già socialista?
Lo sono sempre stata, come mia madre e mia nonna. Sono sempre stata dalla parte di mia madre, e vedevo che non era felice. A 14 anni capii che voleva divorziare, era tanto differente da mio padre, i bambini le vedono le cose, ma lei era molto più capace di adattarsi di me, con mio padre litigavo in continuazione. Ora ha 82 anni e siamo in buoni rapporti, non è più come quando ero giovane, mi piaceva giocare coi ragazzi, ero una «ragazzaccia», più come Roska che mia madre. Ricordo che a 13 o 14 anni dovevo fare la cresima e dovevo decidere, gli adulti in genere non chiedono il parere dei ragazzi, dicono solo vai chiesa e fai la cresima, ma Roska e mia madre mi dissero non la fare, e mio padre e la sua famiglia mi chiedono «quando fai la cresima?». Scelsi di farla per mio padre, ma mi sentii male per mia madre e per la famiglia di mio nonno, tutti socialisti lontani dalle cose di chiesa. Non sapevo se credere o no in dio ma lo feci per mio padre. A quel punto ero come una traditrice della famiglia di mia madre e per una bambina era una situazione difficile, dovevo continuamente scegliere da che parte stare. Poi sono andata al liceo a Parigi e decisi che non volevo più vivere in Islanda, la trovavo claustrofobica.

Ci conosciamo tutti in Islanda, in un certo senso è come una prigione, fui felice di andare a Parigi ma non c’era la scuola adatta quindi tornai all’accademia a Reykjavik. In seguito andai a Berlino per una visita e mi misi con un ragazzo. Berlino era eccitante nel 1985, diversa da ogni altra città tedesca, potevi andare a un concerto di David Bowie, incontrare ragazzi che non volevano fare il servizio militare, pittura selvaggia, giovani che occupavano case. Sono stata 11 anni a Berlino. Ero là quando è caduto il muro, ci sono andata, una esperienza incredibile. Ero molto naïf, non mi rendevo conto che Berlino era un’isola all’interno della Germania dell’est, andavo a scuola in bicicletta lungo il muro, c’erano punti da dove si poteva guardare dall’altra parte, guardie con cani, con pistole, era orrendo e poi caduto il muro si poteva andare di là, bisognava cambiare i soldi perché le monete erano differenti, potevi avere sette volte di più per un marco tedesco. Vedevi gente che non aveva avuto tutto quel capitalismo e negozi differenti…

Delle amiche che studiavano a San Francisco sono venute a Berlino per una visita, due giovani ragazze islandesi, e dico bene andiamo a fare un giro oltre il muro. Nel settore americano c’erano due ragazzi, 25 anni come noi, e noi diciamo stiamo andando di là, al checkpoint Charlie, e quelli: «ragazze non lo fate! Ci sono comunisti da quella parte». Come puoi indottrinare la gente così? C’era una tale propaganda che molti pensavano fosse pericoloso andare a Berlino est.

Sono stata diverse volte a Praga e a Varsavia, mia madre aveva partecipato a dei workshop all’est e conosceva diversi artisti dell’est. Ho studiato a Varsavia con un professore bravissimo, amico di mia madre. Potevo andare nei paesi dell’est ma per andarci dovevi avere un motivo. A Berlino est ci andavo quasi tutti i giorni anche prima che il muro cadesse. Bevevo vino con amici, avevo una piccola figlia e un altro ragazzo, mi ero lasciata dal padre della bambina.

La tua prima mostra?
Studiavo a Berlino ma ogni estate tornavo in Islanda per lavorare, facevo la guida in montagna per gruppi di francesi, tedeschi, svedesi…che mi dicevano questa è l’unica terra in Europa che non è stata distrutta, avete ancora una natura pura. A Berlino mi ero interessata alla fotografia e al riciclaggio di vecchie foto, influenzata dalle teorie di Susan Sontag su come il diffondersi delle foto abbia portato a una relazione voyeristica della gente verso il mondo circostante, come attraverso la fotografia cambi la percezione. Nel 1997 sono tornata in Islanda, l’avevo lasciata che ero adolescente, e ho visto come per la terra più incontaminata, come dicevano quelli che guidavo in montagna, fossero in atto piani per trasformarla in una zona industriale, a vantaggio delle peggiori società, come Alcoa (Aluminum Company of America), una cosa da pazzi. Ero furiosa, sotto shock, e iniziai a partecipare a tutte le iniziative contro questa distruzione del territorio. Anche la mia arte è cambiata. Non potevo continuare con i miei pensieri filosofici sulla fotografia e la percezione. A Berlino c’erano 8 milioni di persone, in Islanda 250.000. Qui puoi sentire che quello che fai è importante, che puoi provocare cambiamenti. Per due anni ho insegnato a Reykjavik nel Living Art Museum, ero anche nella direzione. Da adolescente ero felice di andarmene, tornata ero contenta di poter lottare con l’arte per cambiare le cose.

La tua attività ha qualche impatto nei media?
Cercano di ignorarla. Nel 2003, anno dell’invasione dell’Iraq, in Islanda c’era molta corruzione nella politica. I due partiti di destra vinte le elezioni senza nessuna discussione diedero il via alla costruzione di una grande centrale idroelettrica e alla distruzione di un vasto territorio. Io e la mia amica Asta, insieme avevamo guidato escursioni in montagna, abbiamo deciso che dovevamo mostrare alla gente cosa stavano facendo. Quell’area non è facilmente accessibile, devi attraversare un grande ghiacciaio, a nord del Vatnajokull, e tra due fiumi c’è una valle molto speciale, una riserva naturale con renne, oche dai piedi rosa, rari uccelli, animali che lì si riproducono. È la sola zona dove ci sono renne in Islanda, ed era un’area protetta dagli anni 70.

Nel 2003 decidono di fare questa diga e inondare tutta l’area per la centrale idroelettrica. Alcoa tentò di coinvolgere nel progetto la compagnia norvegese Norsk Hydro che però si rese conto che il progetto sarebbe stato un grande scandalo politico e si ritirò. Anche Björk ci sostenne. La ministra dell’industria pubblicò un catalogo intitolato Energia pulita per l’Islanda e si accordò con Alcoa, la peggior compagnia che esiste, pagano salari bassissimi e in Islanda vennero a lavorare coi loro dipendenti. Abbiamo cercato in tutti i modi di fermare quel progetto, che poi si è rivelato neanche buono per l’economia. Dal 2006, quando la valle è stata inondata, abbiamo portato oltre duemila persone a visitare quell’area. Dieci anni dopo quella distruzione ho fatto una istallazione nel Reykjavik Art Museum con 7 video che avevo realizzato io stessa con una videocamera sul petto e un’altra sulla testa camminando per 8 km attorno a questo nuovo lago.

Stai girando un film…
Si intitola Sisters, è su due sorelle artiste nate in Islanda in una famiglia socialista, una nel 1940 e l’altra nel 1942. Entrambe volevano cambiare il mondo, sono mia madre e sua sorella, Roska. Il vero nome di Roska è Ragnhildur Oskarsdottir. Lo scelse come nome d’arte, penso perché era più facile da usare quando agli inizi degli anni 60 arrivò a Roma con suo marito. Avevano studiato arte a Praga e poi a Roma all’accademia di Belle Arti.

Roska rimase incinta, divorziò, e incontrò Manrico Pavolettoni, un poeta, che fu da allora il suo compagno. Insieme parteciparono attivamente ai movimenti del 1968 in Italia e a Parigi. Roska in Islanda, dove tornava almeno una volta l’anno, era molto nota per le sue posizioni radicali e manifestazioni eclatanti, come quando con la sua amica del cuore Birna Thordardottir fece irruzione nella base Usa di Keflavik, o quando in un meeting in onore di Halldór Laxness, socialista, premio Nobel 1955 per la letteratura, con la platea piena di autorità e di tutta la borghesia locale, Birna si impossessò del microfono e dopo aver fatto i complimenti a Laxness continuò dicendo: «ma non è possibile stare qui – mentre Roska alle sue spalle sventolava una bandiera rossa del Fylkingin, movimento di sinistra extraparlamentare – senza ricordare quelli che in questi giorni vengono uccisi in Vietnam…». Dalla platea cominciarono a urlare…Da quel giorno Roska e Birna divennero note come pericolose sovversive e icone per il movimento contro la guerra in Vietnam. Nel 1967 Roska fece due mostre a Reykjavik ma è solo con una grande mostra del 2000 che la gente in Islanda si rese conto che Roska non era solo una ribelle radicale ma anche una grande artista.

Mia madre prese un’altra strada, da giovani erano così simili da sembrare gemelle, ma avevano caratteri differenti, Roska è come il fuoco, vivace, veloce, mia madre è lenta, riflessiva, fa ogni cosa con calma. Nel film voglio mostrare come queste differenze si rispecchiano nella loro arte. Per Roska pittura, istallazioni, poster, film, per mia madre sculture, lavori con argilla e ceramica dove ogni cosa va fatta con pazienza, impastare l’argilla, metterla al forno, decorarla e cuocerla di nuovo, a volte si rompe e devi ricominciare da capo.
Negli ultimi 20 anni ha fatto approfondite ricerche e istallazioni sulla storia dei nostri antenati. La nostra famiglia viene dal sud dell’Islanda, dalle parti del vulcano Hekla, dove è molto difficile vivere per via delle tempeste di neve, le eruzioni, la lava.

Come porterai tutto ciò nel film?
Vorrei inserire brani dei 7 episodi che Roska e Manrico hanno girato in Islanda per la Rai più o meno nel 1973, stiamo vedendo come acquisirli, per mostrare come hanno guardato all’Islanda da un punto di vista italiano. In Islanda nessuno ha visto questo materiale. Poi c’è quanto ho filmato io a Roma, non il Colosseo o altri luoghi turistici ma dettagli, particolari, come le fontanelle e vecchi edifici sorprendenti per noi che viviamo in un paese dove tutto è così giovane. Qui ti confronti con la storia. Quindi ci saranno interviste a mia madre, a Carlo Duca, che ha vissuto e lavorato a lungo con Manrico e Roska, con Hoskuldur Harri, figlio di Roska, con Birna e Ragnar Stefánsson, esperto in terremoti, ora ottantenne, per 38 anni a capo del dipartimento di geofisica dell’ufficio meteorologico islandese, che parleranno soprattutto della Roska militante politica. Anche Ragnar è stato nel Fylkingin.

Ho iniziato a pensare a questo film nel 2019, quando ero in lockdown per il covid in una mia casa in campagna. Sono tornata alla mia infanzia, a come avessi vissuto questa frattura tra la famiglia borghese di mio padre e quella socialista di mia madre. Ero diventata bravissima a identificare una risata di destra e una di sinistra, un gesto di destra e uno di sinistra…era divertente ma a volte anche doloroso scegliere tra queste persone che amavo ma che erano in conflitto costante. E questi ricordi mi hanno portato a rivedere le figure di mia madre e di mia zia Roska.
Il film sarà a colori ma ci saranno anche materiali d’archivio in bianco e nero, sull’Islanda e su Roma. Spero di finirlo nel 2024, ma non voglio mettermi fretta.

Tra le tue opere c’è una pecora volante…
In Islanda a settembre i contadini raggruppano le pecore e le rinchiudono. E a un certo punto le pecore comprendono: «Oh mio dio! ora uccidono i miei figli!». Possono sentire l’odore della morte e diventano molto arrabbiate o molto impaurite. Io ero con un gruppo in visita a una di queste fattorie e abbiamo visto le pecore in rivolta che cercavano di fuggire, correre velocissime e saltare come a voler spiccare il volo. Mi è sembrata una giusta metafora per molte ragioni, rinchiudiamo gli animali fisicamente ma anche concettualmente, ed è interessante quando questi rompono ed escono da questi schemi. Così in India tre mesi dopo ho iniziato a dipingere queste pecore, ero in Kerala e a Pondicherry. Lì capre e mucche girano normalmente per le strade. Ero affascinata dal rapporto degli indiani con gli animali.

I tuoi prossimi impegni?
Andrò a Napoli per preparare un workshop di una decina di giorni dove far incontrare artisti islandesi e napoletani. Hanno in comune il vulcano, il mare e la superstizione. Il prossimo anno, tra agosto e settembre, organizzo una biennale a Reykjavik che verterà su come l’arte possa intervenire per cambiare il sistema che ha portato alla pandemia. Collaboreranno anche quelli del collettivo romano Stalker.