Fedele alla stimolante programmazione sul fronte coreografico e performativo che tra novità, prime nazionali e titoli di differenti formati distingue da anni Bolzano Danza Festival, l’edizione 2019 diretta da Emanuele Masi come le ultime sei e realizzata dalla Fondazione Haydn, ha accolto, nonché coprodotto, il debutto assoluto della nuova creazione di Virgilio Sieni, Metamorphosis. Un progetto coltivato da tempo, nato a Firenze a partire dalla proposta del Festival a Sieni di un nuovo lavoro su musica dal vivo da scegliere tra le partiture in repertorio dell’Orchestra Haydn Orchester. Sieni optò piuttosto rapidamente per Arvo Pärt, un insieme di pezzi magnificamente sospesi, tra cui il Cantus in memory of Benjamin Britten: a dirigerli dal vivo al Teatro Comunale di Bolzano cinque giorni fa la giovane Maestra Chloé van Soeterstède in buca con l’Orchestra Haydn per il debutto di Metamorphosis.

IL PREAMBOLO si rende necessario per la magnetica sintonia di visione tra esecuzione musicale e concezione coreografica e di movimento che ha attraversato la prima. Esecuzione che è stata registrata e che accompagnerà le prossime riprese dello spettacolo il 2 agosto al festival Civitanova Danza e l’11 ottobre alla piattaforma NID al Valli di Reggio Emilia. Altre esecuzioni dal vivo annunciate al LAC di Lugano con l’Orchestra della Svizzera Italiana (26 ottobre) e al Théâtre de Liège in Belgio con l’Orchestre Philarmonique Royal de Liège (20 febbraio 2020). Un progetto su musica e danza di deciso rilievo.

SIENI ha tra le sue fonti Le Metamorfosi di Ovidio, tema caro al coreografo, quello della trasformazione, della possibilità del corpo «toccato dallo spazio, mutato dalle cose» di diventare altro. La metamorfica potenzialità dell’uomo si sposa a un lavoro giocato sull’orizzontalità del movimento, sullo studio articolare, vibrante, perennemente sospeso, resistente alla gravità, ma anche si nutre della trasformazione che il singolo corpo vive nell’incontro con un altro corpo, umano, animale, vegetale. Anche per Chloé van Soeterstède l’orizzontalità è un concetto chiave che risuona nella musica di Pärt come nella danza osservata dalla buca: una tensione sospesa che lega un pezzo all’altro e che vibra negli attimi di silenzio, vitali nel suono e nella danza che continua.

L’ORIZZONTALITÀ, il lavoro dettagliato sul movimento delle articolazioni, abitano la lingua di Sieni da tempo: non è un caso che il coreografo citi il lavoro sulla marionetta che è entrato più volte tra le pieghe del suo humus creativo, si pensi a Le Sacre du Printemps, a Petrushka e Chukrum, alle sperimentazioni tra danza e arte dei pupi con Mimmo Cuticchio a Palermo, progetto che sarebbe da far ripartire. Tutto questo poi in Metamorphosis si sposa a una scenografia di velature, di teli chiari di diversa trasparenza, scesi a creare nuove spaziature. I cinque danzatori, Marina Bertoni, Giulia Gilera, Maurizio Giunti, Andrea Palumbo, Sara Sguotti, intersecano le loro opposte fisicità con consapevolezza di un mutamento che sfalda il singolo nel collettivo. Un moto tra cinematografiche sfocature e messe a fuoco, avanti e indietro tra i veli. Forme che si disfano e si ricreano e di cui, tra tutte, sfavilla l’unione dell’uomo alla fiabesca, bianca, grandissima silhouette di un cervo. Quel cervo di cui racconta Ovidio, nel quale l’uomo correndo si trasforma. Un pezzo visionario di magnetico impatto.

TRA GLI ALTRI LAVORI visti al festival, merita una segnalazione Mars Kids del giovane coreografo e danzatore ferrarese Nicola Galli. Un viaggio su Marte proposto ai bambini in cui Galli, solista con una bella vena coreografica, governa schermi, lampade, fornelletti, trasportando con divertita suspense il pubblico sul pianeta rosso. Luna Cenere omaggia Isadora Duncan nel breve Natural Gravitation, ma è nella sezione Outdoor, affidata quest’anno alla cura di Rachid Ouramdane, che colpiscono la battente performance di Ruben Sanchez in Variation(s) in progress, estratto dalla prossima creazione di Ouramdane alle Cantine Kettmeier di Caldaro, e, nel Parco dei Cappuccini di Bolzano, l’ipnotica Ophelia di Yoann Bourgeois, interprete Marie Vaudin in apnea dentro un cilindro pieno d’acqua.