Nell’appendice in chiusura di Filò, la raccolta di liriche in vernacolo veneto del 1976, Andrea Zanzotto scrive che il dialetto «resta carico della vertigine del passato, dei megasecoli in cui si è estesa, infiltrata, suddivisa, ricomposta, in cui è morta e risorta “la” lingua (canto, ritmo, muscoli danzanti, sogno, ragione, funzionalità) entro una violentissima deriva che fa tremare di inquietudine perché vi si tocca, con la lingua […], il nostro non sapere di dove la lingua venga». Il filò, com’è detto nell’Italia nord orientale, era la pratica, comune a un po’ tutto il mondo contadino e anche, in parte, ai...