Interrogarsi sul proprio passato, cercare di comprendere cosa è accaduto e perché, indagare le motivazioni profonde degli accadimenti storici è da sempre considerata una delle maniere per capire e affrontare anche gli avvenimenti presenti e per progettare, per quanto possibile, il futuro. Eppure la storia sembra essere diventata ormai una disciplina di secondo ordine, non necessaria allo sviluppo e al progredire di una società se non come incubatrice di stereotipi o di vere e proprie falsità veicolate poi come senso comune. E spesso momenti fondanti nel passato di un popolo vengono come depotenziati, sterilizzati nei loro caratteri rivoluzionari, grazie all’uso di retoriche volte ad esaltarli quasi soltanto negli aspetti più vuoti e insignificanti.

È IL CASO, ad esempio, per quanto riguarda la nostra storia, del Risorgimento, non a caso scritto sempre con l’iniziale maiuscola. Ma come notava Valerio Evangelisti oltre dieci anni fa: «Quando si mette la maiuscola, si dà avvio a un processo di imbalsamazione». La frase è tratta dall’introduzione a un piccolo libro scritto dall’autore bolognese insieme ad Antonio Moresco, intitolato Controinsurrezioni, composto da due racconti e volto a «rianimare il Risorgimento, e farlo uscire dal sacello, simile alla ghiacciaia di un frigorifero, in cui è rinchiuso. Conservato bene, però freddo, freddo».

Da allora, qualche altro tentativo è stato fatto per dare una lettura diversa, più reale del momento fondativo della nostra storia – e basti citare a tale proposito Noi credevamo, film di Mario Martone del 2010 – ma non è che la situazione generale sia mutata radicalmente. E così Evangelisti ha deciso di riprovarci e ha dato alle stampe 1849. I guerrieri della libertà (Mondadori, pp. 248, euro 20). Ancora una volta, come nel racconto di dieci anni fa, la scena è a Roma nel momento della Repubblica. Il lettore, inoltre, ritroverà nel romanzo il protagonista della vecchia novella. Naturalmente, il respiro del testo è differente, l’affresco composto dalle vicende che si susseguono e dai vari personaggi che si alternano sulla ribalta è ben più complesso e riesce a far percepire al lettore l’atmosfera di quei giorni. La maestria nella scrittura e nella composizione di Evangelisti sono in grado di far emergere con chiarezza gli avvenimenti che si affastellano in quei giorni donandogli al contempo carne e sangue soprattutto grazie alle storie anche personali dei vari personaggi. Quello che viene fuori è un quadro assolutamente non convenzionale, dipinto a tinte reali dove si intersecano crudeltà e generosità, passione e interesse, tradimento e lealtà.

SOPRATTUTTO, EMERGE con forza il vero protagonista di quella rivoluzione: il popolo di Roma e gli innumerevoli giovani che da ogni parte d’Italia, e non solo, erano confluiti nella città eterna per difendere la Repubblica. Straordinarie, poi, le figure di donne, spesso prostitute, tutte irriducibili combattenti schierate a difesa della rivoluzione. Una rivoluzione che, come la racconta l’autore, non è solo fatto politico ma reale cambiamento nella vita quotidiana e nelle gerarchie dei valori.

UNA RIVOLUZIONE, poi, che non è assolutamente idealizzata ma puzza di sangue e morte, pur affermando valori di libertà e uguaglianza. Una rivoluzione, infine, che non si caratterizza esclusivamente per la questione nazionale, ma pone in primo piano anche la questione sociale. Sfuggendo allo stereotipo per cui il ’48 francese pone le rivendicazioni sociali al centro della rivolta mentre quello italiano sarebbe caratterizzato solo dalla questione dell’unità del Paese, Evangelisti narra l’importanza che l’emancipazione sociale aveva all’interno dei gruppi rivoluzionari e inserisce nel racconto tutta una serie di provvedimenti adottati dalla Repubblica fino al suo ultimo giorno di vita.
Come in tutti i romanzi storici, anche in 1849. I guerrieri della libertà ci sono personaggi effettivamente vissuti e altri, ma pochissimi, di fantasia.

UNO DI LORO, Folco Verardi, garzone fornaio di panetteria a Ravenna, è un po’ l’occhio attraverso il quale viene vista la maggior parte delle vicende. Abbastanza scettico all’inizio, poi sempre più coinvolto, si troverà anche a vivere un’intensa storia d’amore. E capirà ben presto che, come gli ha detto Ciceruacchio, capopopolo romano: «La rivoluzione, a Roma, è fatta da gente del genere: artigiani, bottegai, lenoni, malviventi, sgualdrine, disoccupati, manovali, artisti. Inoltre pescivendoli, conciatori, vetturini, garzoni, cenciaioli. Eppure stanne sicuro, i futuri libri di storia non ne faranno parola». E come ha affermato Valerio Evangelisti: «Una storia minore? Forse, e da me ampiamente rielaborata e sceneggiata. Sta di fatto che se questa gente non faceva la storia, tuttavia spargeva sangue perché noi, i contemporanei, avessimo un futuro migliore. Un po’ di gratitudine postuma le è dovuta».