«Non voglio, non posso, non devo commentare in alcun modo la vicenda Consip, ma in generale credo che quella vicenda dovrebbe stare fuori dalla sfida congressuale». Andrea Orlando prova a sfilarsi dall’intrigo in cui si avvolgono le primarie Pd, il corto circuito fra corsa per la leadership e inchiesta Consip che vede coinvolti «babbo» Renzi e il ministro Lotti come indagati, e in qualità di persona informata dei fatti il candidato e presidente della Puglia, testimone quasi volontario (ancora non sentito dai pm) per aver rivelato alla stampa uno scambio di sms con Lotti sull’imprenditore Russo.
Fra Emiliano e Orlando lo scontro si fa ruvido. Entrambi si dichiarano certi di vincere, com’è ovvio. Eppure per loro anche il secondo posto alle primarie può essere un piazzamento interessante. Ieri Huffington post ha riferito i timori dei renziani se il leader non acciuffasse il 50 per cento nei gazebo. In questo caso l’art.9 dello statuto Pd affida l’elezione del segretario al voto dell’assemblea nazionale in uno spareggio a maggioranza semplice fra i primi due piazzati. Se Emiliano arrivasse secondo difficilmente i voti di Orlando confluirebbero su di lui. Più probabile il viceversa però. L’ipotesi per ora è remota.

Fatto sta che Emiliano dopo aver attaccato alzo zero Renzi passa all’attacco del ministro: lo accusa di essere in conflitto di interessi in quanto Guardasigilli, quindi titolare di un’eventuale azione disciplinare contro i pm. Orlando, che tiene bassi i toni dello scontro interno, spiega che la legge «prevede che l’azione disciplinare sia in capo al ministro e al procuratore generale». Quindi l’accusa è «un paradosso. Mi troverei in conflitto di interessi ogni volta che c’è un indagato nel mio partito».

Non rinuncia invece a dire la sua sulla sfiducia al collega Lotti. Critica chi, da sinistra, ne chiede le dimissioni: «Lotti ha ricevuto un avviso di garanzia a dicembre, è singolare che se ne chiedano le dimissioni oggi. Su quello che significa un avviso di garanzia ci siamo già molte volte espressi». Il riferimento è non tanto alla annunciata mozione M5S ma alle posizioni degli ex Pd di Democratici e progressisti. Ieri Guglielmo Epifani, pur facendo ampia professione di garantismo, ha ribadito la richiesta di dimissioni del ministro dello sport «per opportunità politica». È invece freddo sul tema Massimo D’Alema: «Non ho mai mescolato le vicende politiche con quelle giudiziarie». Mdp, la forza di D’Alema ma anche dell’ex leader Cgil, non ha ancora preso una decisione ufficiale. Decisione che ha a che vedere più con il posizionamento sul governo del neonato movimento che con un reale effetto in aula: Forza italia ha già garantito la blindatura il ministro. Sul fronte delle indagini, va infine segnalato a Napoli lo smacco della orlandiana Valente sfiduciata da capogruppo Pd dai consiglieri comunali Pd per la vicenda dei falsi candidati alle amministrative.

Ieri giornata di deposito di firme per gli aspiranti segretari Pd. Il tetto massimo è 2mila, ma i rispettivi staff fanno sapere che ne sono arrivate 35 mila per Renzi, 6mila per Emiliano. E 18mila per Orlando, che però ne ha depositate 1996: «Un numero che si riferisce a una data importante, l’anno di fondazione dell’Ulivo».

Renzi prepara il ’suo’ Lingotto, il prossimo week end a Torino: ribadisce la sua intenzione di essere leader e candidato premier (gli altri due lo hanno escluso) e avverte che farà «le pulci a tre anni di governo», il suo. Tema assai interessante, ma dovrà vedersela con la controprogrammazione sulla piazza di Roma: sabato 11 il lancio del ’Campo progressista’ di Pisapia. E domenica 12 l’iniziativa di Orlando con uno dei suoi grandi elettori, il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti.