Il Teatro di Roma ha inaugurato la sua nuova stagione con uno spettacolo suggestivo e pieno di fascino, Pupo di zucchero che Emma Dante aveva realizzato per il festival di Spoleto dello scorso anno 2021. Una grande famiglia intergenerazionale vi danza e canta attorno alla tradizione siciliana del «morticino», la figura ancestrale che la notte dei morti porta i doni ai bambini. Uno spettacolo in dialetto stretto, che leva un canto commosso e partecipe a quella tradizione, e che prende letteralmente corpo nel pupazzetto di zucchero, lievito e farina, che dei bimbi in quella notte addolcisce il palato.
Alla fine è stato salutato da grandi e meritati applausi, che però rischiavano di risultare meno dolci al palato rispetto a quel simbolico Pupo. Non tanto per la sua durata piuttosto concentrata (55 minuti, ma gli spettacoli certo non si misurano «a metri»), ma perché costituiva pomposamente l’inaugurazione della stagione di uno dei maggiori Teatri Nazionali (secondo le tipologie elaborate dal fu ministro Franceschini), che vuol dire dai finanziamenti ampi e praticamente «automatici». L’istituzione teatrale della capitale continua invece a rimanere «acefala» da circa un anno: per le nuove nomine son girati molti nomi in questi mesi, tutti più o meno degni di sospetto: più o meno sempre gli stessi, come se la cultura resti ancora «prebenda» per professionalità molto parziali.

IL COMMISSARIO straordinario che deve trasformare in Fondazione il teatro scadrà, pare definitivamente, tra una settimana circa. In mano a chi andrà non è dato sapere: anche perché i soci che dovrebbero decidere sono a loro volta acefali: al ministero è venuto meno Franceschini e Sangiuliano lo sostitisce solo ora (e di cui si ignora la conoscenza del settore…) ma anche l’onnipotente segretario generale, che si è messo al sicuro alla vigilia delle elezioni come presidente della Siae. La Regione Lazio non aveva assessore specifico, ma andando Zingaretti in parlamento, anche il suo capo di gabinetto (e factotum) si era trasferito prontamente presso il sindaco Gualtieri, prima di essere costretto alle dimissioni per i modi «cavallereschi» con cui esercitava il proprio carisma. Unico assessore in carica resta al comune Gotor, mirabile storico e editorialista, ma totalmente ignorante di amministrazione concreta della cultura. Le sue risposte ad una recente polemica col Corriere della sera sono state disarmanti: ad esempio nell’esibire la falsa «autonomia» dei troppi festival che si contendono, tutti insieme nelle stesse sere d’autunno, il pubblico romano, tutti finanziati dallo stesso Comune (con un imbarazzante effetto di saturazione concorrenziale, da Short Theatre a Romaeuropa).

IL TEATRO DI ROMA ha bisogno di una figura forte di amministratore, e che possibilmente sappia anche di cosa può e deve andare in scena, di novità e di tradizione. E non mancano figure del genere, magari ora mortificate da compiti specialistici nella stessa amministrazione statale. Purtroppo i nomi girati finora sono drammaturghi «di successo» o noiosissimi registi ma superaccomandati. Col governo venturo e la «cultura» che si porterà dietro, sarà bene avere professionisti forti e indiscutibili, invece di correr dietro a intellettuali modaioli o «artisti»noiosamente autocelebrativi.