Confesso di aver pensato, solamente per un attimo fuggente, che un nucleo importante del dibattito che a più voci si è levato sul problema del ‘passaporto sanitario’ fosse uno degli effetti «collaterali» del coronavirus.

Un governatore sardo propone una Sardigna Covid-19 Free solo per turisti sani, accompagnati da un passaporto sanitario senza il quale non si potrà prendere il volo (presumo anche treno e nave). Il sindaco Sala ricorda con stile l’apporto milanese alle fortune del turismo sardo: non sappiamo se si riferisca alle iniziative alberghiere e petrolifere dei Moratti, del corregionale Nino Rovelli, alle seconde case usate prima dell’esplosione definitiva della pandemia. Da Torino, noblesse oblige, si privilegia un registro più storico: la Presidente del Museo Egizio Evelina Christillin (ex- ufficio stampa Fiat per diversi anni) vuole riesumare il passaporto della trisnonna, ricordando l’infausto regno sardo piemontese; il documento dovrebbe essere scaduto, e sarebbe comunque opportuno che non lo usasse il 28 aprile, alla festa regionale de ‘Sa Die de Sa Sardigna’, che ricorda la cacciata dei piemontesi dall’isola. Ha minacciato di andarsene in Romagna, e la mia solidarietà ai romagnoli è totale.

Ma non sono effetti collaterali del maligno virus. Si tratta di frutto preesistente al Covid 19: segno fausto perché la riemersione del normale pensiero e livello politico è indizio del calo della pandemia; infausto per la sua qualità, che si ritrova in una gara fra spiagge. Massimo Fini, anch’esso lombardo, partecipa a questo agone dispensando insulti al mare della Sardegna, che piace a molti ma non a lui (è un suo diritto, e anche nostro: fortunatamente andrà altrove).

La proposta del governatore Solinas, da gazebo mercantile retrodunale, sembra – al di là di un eventuale rischio costituzionale – demagogica e oscura (chi rilascerebbe questo passaporto e con quale validità di evidenze) e segno di un autonomismo poco efficace, a meno che non si vogliano accompagnare i turisti sani, dopo salutari abluzioni marine, a respirare un po’ di aria pura a Macchiareddu, Sarroch, Porto Vesme o i fumi di ciò che resta del petrolchimico di Porto Torres: certo, con qualche rischio per il passaporto, ma si può sempre rimediare con il dono di qualche FFP3.

Pensate poi cosa succederebbe se un turista documentatamente sano si beccasse il Covid-19 da un sardo asintomatico contagioso, agli effetti sulla stagione turistica e i suoi operatori: viviamo fra molte zone d’ombra, poco valutabili, anche per via delle differenziate e comunque deficitarie politiche sui test sierologici, riserva di caccia dei laboratori privati (quelli seri permettono, a chi può, di capire meglio la propria situazione sanitaria. A chi può), e la debolezza del sistema della sanità pubblica, che non può andare oltre a un pur utile saggio statistico di 150.000 test ed esegue pochi tamponi.

In questa surreale discussione, centralismo, regionalismo e indipendentismo sono etichette; non pratiche, pur diverse, coerenti.

Si nota piuttosto un particolarismo da modelli cortensi, dove si legge, come in un sierologico fatto bene, la presenza di un vecchio virus anti-sardo, anch’esso coronato, e il legame di qualche isolano con le corti del nord.

Resta quasi da sognare un centralismo che voglia costruire una sanità pubblica smembrata, spolpata e distrutta; strumenti di salute legati alla vita accessibili e gratuiti (invece di sottoscrizioni lanciate dalla tv nazionale); e la ripresa di un indipendentismo solidale, aperto al mondo, che voglia risanare territorio e popolo. Sogno ancora più difficile, il contenersi della stupidità e dell’arroganza.

In questo singolare dibattito l’archeologo vede nel campo di macerie tre reperti dominanti: il riproporsi, in nuove polverizzazioni, della questione meridionale e gli intrecci con la questione sarda; la prevalenza degli interessi privati su quelli di comunità; le differenze di classe.

Cosa si può fare di fronte a tutto questo? Speriamo che la storia ci metta, se non una pezza, almeno un tampone.