Studioso di libri antichi, Fabio Bertolo ha permesso allo Stato (coinvolgendo il direttore della Biblioteca Nazionale di Roma, il quale ha raccolto i fondi per ritirare gli autografi prima dell’incanto), in occasione di un’asta del 2019, di acquisire sei taccuini autografi finora sconosciuti del Giornale di guerra e prigionia di Carlo Emilio Gadda provenienti dalle carte di Alessandro Bonsanti. Essi costituiscono pezzi mai prima sospettati di un puzzle che credevamo compiuto, e che Paola Italia, nella «nuova edizione accresciuta» da lei curata per Adelphi (pp. 626, € 35,00), incastra con alta filologia nel disegno complessivo del libro fin qui noto, il quale cambia così volto e natura, rivelandosi «un’opera profonda e potente»: così trasformato, il Giornale «basterebbe da solo ad assicurare a Gadda un posto nel nostro Novecento». Con il restauro di quest’opera prima, ora che tante schegge mai viste né immaginate tornano al loro posto, il lettore è in grado «di ricomporre tutti i frammenti delle guerre di Gadda, di recuperare i disiecta membra di un soldato che non è riuscito a combattere come avrebbe voluto».

Paola Italia ricostruisce la storia del libro a partire dall’«edizione coatta d’autore» del 1955, secondo l’acuta definizione che lei stessa e Giorgio Pinotti coniarono per Eros e Priapo. Quella che Alessandro Bonsanti e Angelo Romanò attuarono non è una «violenza testuale», cioè una «forzatura della sua volontà. Gadda riluttava a tenere insieme pagine al contempo così intime e così pubbliche, in bilico fra «il piano della Storia» e «quello dell’Espressione»: a partire dal 14 novembre 1918 «inizia a scrivere per farsi leggere». E proprio dal confluire di «due anime» in un medesimo campo di tensione prenderà vita e forma una delle più alte vocazioni letterarie del Novecento. Da allora le pagine del Giornale distinguono «due diverse voci: quella testimoniale, del combattente che annota «vicende esteriori e materiali, ambiente, cause esterne, gli altri e l’esterno», e quella riflessiva, che scandaglia «percezioni, intuizioni, invenzioni, concetti, giudizî che non hanno una immediata conseguenza ne’ miei atti, che sono un lavoro, un’esteriorizzazione, un fardello».

Sarebbe sufficiente, per far gridare al miracolo, anche solo qualche riga delle pagine fino ad oggi ignorate: «I miei soldati, il mio passato. La bellezza finita. Le difficoltà dell’avvenire. Come procurarmi la conoscenza, cioè lo studio profondo e serio inchiavardato di pensiero e pensiero, e i viaggi e la frequenza degli uomini delle cose, come procurarmi i materiali dell’intuizione e del concetto? Povertà; e necessità del duro lavoro. Tristezza e stanchezza. È forse inutile lottare contro un nemico introvabile e pure così implacabile nell’oppressione. Pensieri che passano, vita, poemata, famiglia, lavoro. Rivedrò la mia patria, mia Madre, i miei fratelli, gli amici, la casa? Il giorno tetro senza risposta». Come procurarsi la conoscenza? Verrà, un giorno, la Cognizione del dolore.

Gadda desiderava essere «soldato combattente nell’opera della redenzione»; ma essa non consiste solo nella battaglia delle armi. Il Giornale, «cantiere letterario in prigionia», è attraversato da una segreta guerra etica, di civiltà, in cui la poesia svolge un ruolo decisivo: «Il passato, la mia infanzia, tutte le più piccole e fuggitive immagini mi rivivono nell’anima con un’intensità spaventosa, dantescamente». «Il Dante di Gadda», commenta Paola Italia, a cui è dovuto il corsivo, «è più di un “caro libro”: è una forma di conoscenza della realtà, un filtro attraverso il quale la tortura morale e fisica può diventare pronunciabile e venire risillabata nella parola poetica».

In questo riscatto della parola che risillaba il mondo e la vita di fronte alla guerra risiede il segreto del Giornale, che un secolo dopo la sua composizione, con violenza lacerante, si rivela assolutamente contemporaneo nel tentativo di offrire un senso al disordine universale.