Domenica, in vena di ottimismo, Enico letta aveva profetizzato che anche a natale dell’anno prossimo mangerà il panettone al desco di palazzo Chigi. Parole azzardate. La possibilità di mantenere la presidenza del consiglio per un anno tondo non è un miraggio, ma certo neppure una certezza. Per poter tirare un vero sospiro di sollievo Enrico Letta dovrà aspettare almeno altri quattro mesi: la fine di aprile.
Tra i dirigenti del Pd oggi vicinissimi a Renzi c’è chi lo dice senza mezzi termini: «Diciamo la verità: se si fa la nuova legge elettorale prima di maggio si va al voto un minuto dopo… No: trenta secondi dopo. Se invece si chiude a ottobre, a quel punto è ovvio scavallare fino al 2015». La conclusione si impone da sé: molto, moltissimo dipende dunque da Silvio Berlusconi. Ancora lui. Sempre lui.
La vera trattativa in corso non è quella con Angelino «Alfini» (come da amichevole definizione renziana del vicepremier). E’ quella intavolata da Brunetta e dal braccio destri di Renzi Nardella, con l’obiettivo conclamato di avere a disposizione un accordo già concordato nei particolari da mettere in campo un secondo dopo il fallimento dell’intesa «di maggioranza», quella che va tentata per forza di cose, che tutti (persino Matteo il Giovane) dicono di volere e auspicare ma nella quale quasi nessuno crede.
Il motivo di tanta diffidenza è evidente. Per Ncd l’intesa sul doppio turno serve anche, anzi soprattutto a prendere tempo ed evitare il rischio di elezioni in primavera. Dunque va vincolata alle riforme costituzionali. Elimnato da Renzi quel vincolo, la passione doppioturnista degli ex pdl prevedibilmente scemerà. Qui non è pensabile un soccorso azzurro dall’esterno, perché se c’è una cosa che Fi proprio non vuole è appunto il doppio turno. «Non dovrebbe volerlo nemmeno Renzi – sostiene Minzolini – perché quel sistema favorisce gli scissionisti. Da noi già ci sono, ma se passasse quella legge ci sarebbero quasi automaticamente anche nel Pd».
Salvo sorprese (che al Pd farebbero peraltro solo piacere) da parte di Angelino, resta il mattarellum, sul quale, a parole, i tre partiti maggiori e Sel già concordano. Solo che c’è mattarellum e mattarellum, e a Berlusconi quello ipotizzato dal segretario rampante del Pd proprio non piace: la trasformazione secca della quoa proporzionale (25%) in premio di maggioranza favorirebbe troppo chi nei collegi già parte avvantaggiato, il Pd medesimo.

La logica di Renzi è uguale e contraria: per gli stessi motivi, però rovesciati, quella massiccia quota proporzionale proprio non può accettarla. Di questo hanno iniziato a discutere gli ambasciatori e, per quanto l’accordo ovviamente ancora non ci sia. si tratta di un terreno di confronto già decisamente avanzato. Possibile, anzi probabile che alla fine la mediazione somigli come una goccia d’acqua a quell’odg Calderoli che il Senato ha evitato sino all’ultimo di votare: metà ex quota proporzionale trasformata in premio e l’altra metà ancora proprozionale però con eliminazione del temuto «scorporo».
Per la verità qualche dubbio tra i forzisti negli ultimi giorni c’è stato. Il capogruppo al Senato Romani ha vivamente sconsigliato la corsa al voto per la primavera. I rapaci lo hanno massacrato seduta stante e il risultato del ferioce banchetto è che ieri Sisto, presidente forzista delal commissione Affari costituzionali alla Camera, ha premuto l’acceleratore a tavoletta e proposto di portare il testo in aula entro la fine di gennaio. La sola idea imbizzarrisce gli alfaniani, che con Formigoni, annunciano secchi la crisi di governo in caso di accordo Pd-Fi. Minaccia spuntata; se ci fosse quell’accordo la crisi è proprio ciò che Renzi vorrebbe. Storce il naso anche qualche pd non renzianizzato: Vannino Chiti insiste sull’obbligo di trovare l’accordo nella maggioranza. L’ultimo dei mohicani.