Un intricato viaggio nel tempo tra il poliz-romanzesco della Parigi del 1916, il cool d’autore anni Novanta e la nuova serialità televisiva, Irma Vep -a seguito dell’anteprima cannense- è arrivata su HBO Max. Dopo il magico film in bianco e nero che realizzò nel 1996, Olivier Assayas rielabora e amplia la sua lettera d’amore a Feuillade, al Truffaut di Effetto notte e all’incantesimo tra una musa e un regista, in otto episodi più affollati e patinati dei materiali originali. E ancora più meta cinematografici.

La forza filmica e la qualità evanescente delle immagini del serial d’inizio secolo si confrontano direttamente con i valori di produzione smaglianti e la dominanza del testo scritto che caratterizza le serie contemporanee – Alicia Vikander con Musidora, la magnifica protagonista di Les Vampires. Da quell’accostamento diretto del fotogramma, su cui Assayas (che ha scritto e diretto tutti gli episodi) gioca spesso, il contemporaneo ne esce un po’ prosaico, meno affascinante.

«PASSARE dal vecchio Irma Vep a quello nuovo è come trasformare una poesia in un romanzo, e un romanzo molto spesso», ha detto, Assayas in una recente intervista al «New York Times», illuminando oltre all’intricatezza, la qualità autoriflessiva di questo suo progetto. «Io sono parte della storia del personaggio Irma Vep, che comincia con Louis Feuillade nel 1916 e, attraverso il cinema, arriva al presente. Mi piace l’idea di poter combinare questi strati diversi. E nel tutto c’è anche il mio rapporto con il mio lavoro, come ’invecchia’. Come io interagisco con il me stesso di un quarto di secolo fa e con gli eventi che circondavano il film – per essere trasparenti, il mio matrimonio con Maggie Cheung – è una cosa che trova un eco in quello che succede nella serie. Come anche il dialogo tra il cinema moderno e quello muto».

Il set, come nel film del ’96, interpretato da Cheung (la cui assenza qui ha un effetto fantasmatico), è quello di un remake di Les Vampires, diretto da un filmmaker indipendente francese (l’attore/regista Vincent Macaigne, mentre nell’originale era il ragazzo selvaggio truffautiano Jeanne-Pierre Léaud). Vikander è Mira Harberg, una star americana disillusa dalla bassa commercialità del cinema del suo paese e, scopriamo, con il cuore spezzato perché è stata abbandonata dalla sua amante. Per consolarsi e sfuggire alla nuvola tossica dei tabloid, scatenatissimi sul suo romance lesbico, si rifugia all’ombra del cinema d’autore europeo.

UNICO problema, la lavorazione del film che ha accettato rischia seriamente di essere interrotto per mancanza di fondi e perché i frequenti scatti di collera del regista a un certo punto lo rendono inassicurabile. Alcune delle linee narrative di questo nuovo Irma Vep (prodotto dalla casa newyorkese A24) ricordano meno Truffaut e Feuillade che il back stage comico della popolarissima serie tv francese Call My Agent -è il caso per esempio dell’episodio in cui la produzione, per evitare che il film vada nuovamente a catafascio, deve procurare del crack al tossicissimo attore tedesco (interpretato da Lars Eidinger), incapace di funzionare altrimenti.

Le parti più interessanti, almeno nei primi episodi, riguardano il rapporto tra il regista e Mira e quello di Mira con la costumista, interpretata da Jeanne Balibar. Vikander – che a un certo punto avrebbe dovuto interpretare per Assayas Personal Shopper – stretta nella tutina nera di Irma Vep ha i movimenti e il corpo di una ballerina. È magnetica ma fredda. Manca tra lei e l’occhio della macchina, il rapporto che Assayas aveva costruito con Kristen Stewart in Personal Shopper e Clouds of Sils Maria (Sils Maria in Italia). Ma Stewart, come Maggie Cheung, è un po’ un fantasma della serie. Mira che arriva dall’America con il cuore spezzato e la voglia di cinema d’arte europeo è – per ammissione di Assayas – un po’ ispirata a lei.