Qaraqosh, antico insediamento assiro a prevalente vocazione agricola, un tempo il più grande centro cristiano d’Iraq con oltre 50 mila abitanti, ora è una città fantasma.

Nel 2003 i cristiani erano circa il 6 per cento del totale della popolazione irachena, un milione e mezzo di persone. Ora sono meno di 250 mila: tempi ormai maturi per quella che il cosiddetto Vicario di Baghdad, rappresentante dell’unica chiesa anglicana presente nel Paese sino al 2014, ha definito come «la fine della cristianità in Iraq». La porta d’ingresso alla città è una grande croce in legno tenuta insieme da corde.

I detriti occupano la strada principale e deviano il percorso delle poche macchine lungo la direttrice che da Erbil porta a Mosul Ovest. Come a Ninive, Bartalla e altri centri riconquistati ormai da mesi, anche qui gli abitanti tardano a rientrare. Tanti sono fuggiti all’estero, molti si sono rifugiati nel Kurdistan iracheno e, nonostante a inizio settembre si chiudano i rubinetti dei fondi stanziati da Erbil per il sostegno alle famiglie, non hanno intenzione di tornare.

PER LE STRADE, i segni della furia iconoclasta dello Stato Islamico. Sui muri, l’espressa volontà di una pulizia etnica. Tra gli squarci nelle case, le impronte di una fuga nottetempo: dalla facciata sventrata di un edificio di due piani si intravede un letto disfatto, vestiti ammassati, le ante spalancate di un armadio.

SALAH è tra quelle migliaia di persone che nella notte tra il 6 e il 7 agosto 2014, anticipando di poche ore l’ingresso in città degli uomini di Al Baghdadi, sono fuggite verso Erbil, stabilendosi poi attorno al quartiere cristiano di Ainkawa. Ora lavora per una Ong italiana e non si fa illusioni sulla fine di Daesh, consapevole che un colpo di rasoio non basti ad estirpare un’idea. «Sono dappertutto, sono ancora dappertutto; si sono tagliati la barba ma aspettano solo di farsela ricrescere». Tra gli abitanti e il loro ritorno a casa, in mezzo ci sono la distruzione, la paura, l’insidia delle mine nascoste nelle case, c’è anche, specie nel caso delle giovani donne, la volontà di non rinunciare all’emancipazione sociale che hanno assaggiato negli ultimi tre anni.

L’ABBANDONO DELLE CASE, per molte di loro, ha coinciso con l’abbandono di una condizione femminile relegata al ruolo di moglie, madre, massaia. Qaraqosh è stata liberata lo scorso ottobre, dopo più di due anni di occupazione. Color Fingerprint è il nome di un gruppo di artisti e artiste irachene che, ogni settimana, coprono i messaggi di morte lasciati da Daesh con dei graffiti: hanno ribattezzato la loro campagna «Ritorno».