The dream we carry, in norvegese «den draumen me ber på», ovvero il sogno che portiamo in noi – citazione di una splendida, ipnotica poesia di Olav Hauge – è il titolo scelto dalla Norvegia per il suo programma come ospite d’onore alla Buchmesse di Francoforte, dal 16 al 20 ottobre prossimi. Come ci si poteva aspettare da un paese che investe in cultura l’1,3% del Pil (contro lo 0,6% dell’Italia), il Norla – l’ente statale per la diffusione della letteratura norvegese all’estero – ha fatto le cose in grande, con un ricchissimo programma di centoquindici incontri in cui poco meno di novanta autori si alterneranno sui due palcoscenici dedicati, oltre a una serie di mostre, proiezioni e spettacoli teatrali a Francoforte e in altre città tedesche.
Tra gli eventi collaterali più interessanti, la mostra Edvard Munch visto da Karl Ove Knausgård, alla Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf fino al 1° marzo 2020: centrotrenta opere di un Munch meno noto selezionate da Knausgård, già autore di un bel volume sul pittore norvegese, all’incrocio tra biografia, memoir e storia dell’arte, tradotto in inglese (So Much Longing in So Little Space. The Art of Edvard Munch, Penguin Random House, 2019) ma non ancora in italiano. Lacuna questa che varrebbe forse la pena di colmare, anche perché l’autore norvegese che ha rivoluzionato il concetto stesso di autobiografia con i sei volumi di Min kamp (La mia lotta, cinque dei quali editi in Italia da Feltrinelli: La morte del padre, Un uomo innamorato, L’isola dell’infanzia, Ballando al buio e La pioggia deve cadere, tutti tradotti da Margherita Podestà Heir) sembra entrato perfettamente in sintonia con il celebre compatriota, mettendone in evidenza la capacità di rivelare con i suoi quadri qualcosa dell’ineffabile e metafisica «verità assoluta» che sfugge alla visione superficiale del mondo moderno.

SPIGOLANDO nel programma, emergono due filoni principali. Quello forse più in evidenza – ma non è una sorpresa, visti i tempi che corrono – è il tema della natura, peraltro da sempre al centro della produzione artistica dei paesi nordici. La Norvegia è notoriamente all’avanguardia nella difesa dell’ambiente (come confermato anche da Oslo «Capitale verde europea» del 2019), sebbene a permetterglielo siano i proventi degli enormi giacimenti petroliferi del Mare del Nord.
A Francoforte l’anima ambientalista norvegese sarà rappresentata da Lars Mytting, autore di Norwegian Wood. Il metodo scandinavo per tagliare, accatastare & scaldarsi con la legna, indefinibile incrocio tra una guida per taglialegna, un manuale zen e un coffee table book in formato ridotto, pubblicato in Italia nel 2016 da Utet (traduzione di Alessandro Storti), dalla norvegese-coreana Long Litt Woon, recentemente in libreria con La via del bosco. Una storia di lutto, funghi e rinascita (Iperborea, traduzione di Alessandro Storti), ma anche da Anne Sverdrup-Thygeson, autrice di un bellissimo libro sugli insetti e il loro ruolo insostituibile (e minacciato) nell’eco-sistema Terra, di prossima uscita presso Bur con il titolo Terra insecta, o da Maja Lunde, pubblicata da Marsilio con La storia delle api nel 2017 e La storia dell’acqua nel 2018 (entrambi tradotti da Giovanna Paterniti).

MOLTO MENO FAMILIARE al pubblico italiano o europeo in genere è invece il secondo dei temi in evidenza: la cultura e la letteratura dei sami, fino a qualche anno fa noti quasi esclusivamente come lapponi, termine vagamente spregiativo con cui li chiamavano svedesi e finlandesi. Forse anche sulla scia della proclamazione del 2019 come Anno internazionale delle lingue indigene, la Norvegia dedica ampio spazio ad artisti, poeti e scrittori per adulti e bambini di questa minoranza linguistica, parlata da una comunità nomade di circa settantamila persone che si muovono tra Norvegia, Svezia e Finlandia al seguito delle loro mandrie di renne.
Il primo libro stampato in lingua sami, un abbecedario, risale al 1619, segnando così un’altra ricorrenza significativa per questo 2019. A Francoforte saranno presentate anche due raccolte di letteratura sami in traduzione tedesca e inglese: Vom Joik zum Rap (Dal joik – una forma di canto tradizionale sami – al rap) e Myths, Tales and Poetry from Four Centuries of Sami Literature (Miti, racconti e poesie da quattro secoli di letteratura sami). A sottolineare questa rivalutazione, un’artista sami, Elle Márjá Eira, canterà un joik alla cerimonia d’apertura, a cui parteciperà anche Karl Ove Knausgård, insieme all’antropologa e scrittrice Erika Fatland e alla principessa Mette-Marit, moglie del principe ereditario Haakon, da sempre impegnata nella promozione della letteratura.
Anche per gli altri eventi di spicco sono stati coinvolti tutti i nomi più noti del panorama letterario norvegese, da Erlend Loe, che domenica 20 passerà idealmente il testimone di paese ospite a Margaret Atwood in rappresentanza del Canada, ad autori di best-seller come Jo Nesbø e Jostein Gaarder e scrittori-culto come Dag Solstad e Jon Fosse.

DAG SOLSTAD, il «grande vecchio» (nato nel 1941) della letteratura norvegese, è un autore talmente originale e variegato da risultare virtualmente ininquadrabile. A partire dal 1965, suo anno d’esordio, ha pubblicato una trentina di opere, tra romanzi (la maggior parte), racconti e testi teatrali, dove l’elemento esistenziale si intreccia indissolubilmente a quello sociale e politico, in uno stile personalissimo in cui l’ossessività delle riflessioni filosofiche è venata da un umorismo sottile ma a suo modo irresistibile.
Recentemente – forse anche grazie al successo americano di Knausgård – sta attraversando una fase di entusiastica riscoperta negli Stati Uniti, senza contare le traduzioni in giapponese (dall’inglese) a cui sta lavorando Haruki Murakami, altro suo grande fan. Quattro dei suoi testi sono a disposizione anche del pubblico italiano, tutti pubblicati da Iperborea e tradotti in gran parte da Maria Valeria D’Avino: Tentativo di descrivere l’impenetrabile (2007), Timidezza e dignità (2010, traduzione di Massimo Ciaravolo), La notte del professor Andersen (2015), Romanzo 11, Libro 18 (2017), oltre all’imminente T. Singer, previsto in libreria a novembre, sempre per i tipi di Iperborea.
Jon Fosse è invece l’autore teatrale norvegese più rappresentato – e rappresentativo – nel mondo dopo Ibsen: sia la sua narrativa che la produzione teatrale (sempre scritta in nynorsk – la lingua (ri)costruita artificialmente a partire dai vari dialetti norvegesi, a cavallo tra Otto e Novecento allo scopo di dare alla nuova nazione una lingua diversa dal bokmål, la lingua ufficiale così simile al danese degli «oppressori») mostrano una scrittura scarna, minimale, senza fronzoli, con atmosfere oniriche e spesso claustrofobiche e protagonisti in genere anonimi che si interrogano sulla propria identità e la propria appartenenza.

IN ITALIANO si possono leggere sia alcuni romanzi (Melancholia, 2009 e Insonni, 2011, entrambi da Fandango con la traduzione di Cristina Falcinella; Mattino e sera, La Nave di Teseo, 2019, traduzione di Marghertà Podestà Heir), sia due raccolte di opere teatrali (Teatro, Editoria&Spettacolo, 2006, traduzione di Giulia Perin e Fulvio Ferrari; Tre drammi: Variazioni di morte; Sonno; Io sono il vento, Titivillus, 2012, traduzione di Wanda Monaco Westerstahl). Forse non sarà inutile notare, a margine della Buchmesse, come tra il 2018 e il 2019 ben 266 libri norvegesi siano stati tradotti e pubblicati in tedesco: un’impresa, quella curata dall’ente statale per la diffusione della letteratura norvegese all’estero, al limite dello straordinario, per un paese con poco più di cinque milioni di abitanti.