Entro dieci giorni Uber Italia dovrà disattivare l’applicazione Uber Black che serve per chiamare le berlinere nere con autista a Milano e a Roma. I giudici del Tribunale di Roma hanno dato l’ultimatum anche alle App Uber Lux, Uber Suv e Uber Van. In pratica tutti i servizi superstiti dopo la decisione del tribunale di Milano, confermata da quello di Torino, che ha proibito nel nostro paese l’arma-della-fine-del-mondo per tutti i tassisti: l’app Uber Pop, quella che permette a chiunque di usare un veicolo per esercitare la professione di tassista senza licenza. Il nuovo divieto sarà valido su tutto il territorio italiano.

L’ordinanza è un nuovo episodio della guerra all’ultimo sangue tra la multinazionale americana del capitalismo delle piattaforme digitali e le associazioni dei tassisti. Il tribunale di Roma ha accolto il ricorso cautelare presentato dalle associazioni di categoria assistite da un nutrito pool di avvocati. Nelle prossime settimane proseguirà la causa civile ma, per il momento, Uber dovrà sospendere le attività regolate con le App nel mirino dei giudici.

Per Uber è un duro colpo inferto in nome di uno dei principi del capitalismo liberale che regola il trasporto pubblico non di linea: la «concorrenza». Il colosso della «app economy» diretto da Travis Kalanick, con un valore maggiore ai 50 miliardi di dollari, rischia di smarrire, almeno in Italia, l’aspirazione «dirompente» \[«disruptive»\] attribuitagli da una certa teoria dell’innovazione ai campioni del nuovo capitalismo.

Questa «potenza» risulta essere sempre più imbrigliata da sentenze che accolgono le accuse di «concorrenza sleale» sollevata dagli attori tradizionali già sul mercato: i tassisti che hanno acquistato le costose licenze e fanno quadrato attorno al loro mercato.

Uber Italia si è detta «allibita» dall’ultimatum dei giudici romani e presenteranno un appello. In nome del «libero mercato» invocano il decreto Milleproroghe contro il quale le ventuno sigle dei tassisti stanno conducendo una battaglia a suon di scioperi, l’ultimo il 23 marzo scorso. «L’ordinanza va in direzione opposta anche rispetto alla normativa europea» sostengono. «Ora il governo Gentiloni non può perdere altro tempo, deve decidere se rimanere ancorato al passato, tutelando rendite di posizione, o permettere agli italiani di beneficiare delle nuove tecnologie».

Oltre la retorica sul «nuovo» e il «vecchio», tipica dell’ideologia californiana, vanno considerate le motivazioni dell’ordinanza. Per i giudici la «nuova» tecnologia può essere usata «in modo rispettoso» delle normative «pubbliche» permettendo agli utenti di rintracciare tramite la app «la rimessa di noleggio con conducente più vicina», invecedi lasciarlo fare «al singolo autista».

Gli autisti Uber Black, invece, non sono soggetti «a tariffe predeterminate dalle competenti autorità amministrative». Questo permette di abbassare i prezzi, rendendoli «più competitivi» in base alla domanda sul mercato. La capacità di modellare la tariffa in base all’offerta, e non in base ai costi fissi predeterminati, è la chiave del successo del capitalismo delle piattaforme. I giudici hanno sanzionato questa specializzazione prettamente post-fordista. Con il loro intervento suppliscono alla mancanza di una cornice politico-giuridica nel capitalismo digitale.