Può capitare che una promettente sinologa laureatasi all’Orientale di Napoli abbandoni il suo territorio di ricerca per dedicarsi ad altro e cioè alle immagini in movimento. Loredana Antonelli da molti anni realizza music video, installazioni, e live visual per concerti e performance teatrali (inizia come Vj per un tour dei 99 Posse che durerà tre anni e a cui seguiranno numerosi live da Ellen Allien e The Martinez Brothers fino a progetti come ELEM, gruppo d’improvvisazione elettronica con Fabrizio Elvetico e Marco Messina, che da un po’ di tempo gira l’Italia mettendo in scena un reading multimediale de La macchina del vento di e con Wu Ming 1.

È stata in mostra alla Biennale di Venezia sezione Musica con Emanuele De Raymondi e Oguz Buyukberber e collaborato con lo IED e il Macro di Roma. Nel 2018 con Lady Maru, dj techno e producer e Pasquale Passaretti, attore e drammaturgo già fondatore di Etérnit teatro, fonda ADA – collettivo informale per la scena. ADA vince il Premio per il Teatro contemporaneo di spazio Pim Off di Milano con la performance Twittering Machine, un progetto ispirato all’omonimo quadro di Paul Klee, in cui elementi drammaturgici si intrecciano a musica e visual dal vivo.

Da qualche mese ha intrapreso un nuovo progetto con Ludovica Manzo, musicista e compositrice, portando in tour Serpentine, una performance audiovisiva nata durante la pandemia e pensata per l’esecuzione dal vivo. Se per i live utilizza immagini astratte generate al computer con uno stile univoco e connotante, i suoi videoclip spaziano tra molteplici stilemi in dialogo con l’immaginario dell’artista: da Eugenio Bennato a Niklas Paschburg, di cui ha firmato il suo primo video con la 7K! Records. Ma i suoi lavori più interessanti – quelli dove può sconfinare nella sperimentazione – li ha girati per autori indipendenti come Pier Alberto Valli, Ex Mykah, Flo, Ferc, ecc. Nell’estetica di questa regista quarantenne si mescolano riferimenti al cinema muto (Different Masks per ELEM, When I was a Young Girl per Costanza Alegiani) e un uso dell’archivio sapientemente elaborato (Teresa di Giannini), ma anche germi di racconto (Le previsioni della mia felicità di Bungaro).

Come ti sei avvicinata a questo mondo?
Durante gli anni di Università e del soggiorno a Pechino volevo vivere il presente e sentivo che fotografare mi toglieva aderenza con la realtà. Quegli anni «di scatto interiore» hanno rafforzato il mio modo di guardare. Ho iniziato senza chiedermi il perché girando per strada con una handycam in mano. Il primo esperimento video l’ho realizzato a Napoli, avevo nascosto la copertina di Tropico del cancro di Henry Miller con un foglio di giornale e chiedevo ai passanti di leggere alcuni passi del misterioso libro. Così rubavo le reazioni sui volti dei malcapitati: la timidezza e l’incespicare. Alla fine la videocamera si è mangiata la cassetta e sta ancora lì dentro.

In effetti da molti tuoi video si evince una predilezione per il volto, per il ritratto.
Il ritratto mi attrae perché si contrappone all’astrazione che adotto per i live. Se da un lato sento la necessità di scovare elementi interiori ed «espansi», dall’altro ho bisogno della componente antropomorfa. La mia ricerca sull’astrattismo applicato alle nuove tecnologie è un percorso individuale di conoscenza mentre il ritratto antropomorfo è la contemplazione dell’altro. L’astratto è conoscere mentre il ritratto è contemplare l’incognita costituita dalla persona.

Mi dicevi che tra le tue passioni c’è anche la pittura…
Sento vicinanza a pittori come Rothko o Klee. Le stampe digitali che realizzo conservano un approccio pittorico, una sensibilità al colore e una tensione al quadro, allo spazio delimitato che si fa mondo, (così come accade nel cinema). Ho iniziato con la pittura e il mio lavoro aspira a coinvolgere il pubblico in un’esperienza percettiva ed emotiva. Come dice Stephen King il pensiero semmai viene dopo, dopo che hai chiuso un libro, dopo che hai visto un video.

Parlami di come nasce un video musicale.
Le immagini affiorano dal pozzo. Chiudo gli occhi ed ascolto il brano: è come se le immagini risalissero dal profondo. A volte ho tutta la storia, dall’inizio alla fine, altre volte ho solo delle immagini ma molto nitide. È il caso di Emma Goldman di ELEM. C’è sempre un filo che tiene tutto assieme, è una sottotraccia ma c’è.

Ti capita che i musicisti chiedano qualcosa di preciso?
L’importante è che ci sia fiducia reciproca. Per un musicista fare un video è come lanciarsi nel vuoto, il regista deve guidare il lancio lasciando libertà, ma evitando che qualcuno si faccia male.

Quanto c’è di improvvisazione in un tuo clip?
Cerco di non lasciare niente al caso, tanto il caso fa sempre capolino. Quando torno in studio l’imprevisto si incastra con quello che avevo pianificato, per me il montaggio è sempre magico.

Cosa ti piace di più nel girare video?
Restituire la visione di sé che il musicista non pensava di avere, come è avvenuto con Costanza Alegiani. Nel video ha uno sguardo ipnotico e un sorriso alla Joker: sono le sue labbra, i suoi occhi, il suo corpo eppure non è proprio lei o si? Mi piace restituire una visione altra.

Cosa detesti maggiormente?
Non amo le troupe numerose, preferisco lavorare con massimo quattro persone. Naturalmente vi sono clip più complessi, penso alle scene sott’acqua incluse nei video di PAV e dei Jewish Monkeys, per i quali hai necessariamente bisogno di collaborazione in un ambiente totalizzante come è l’acqua.

Del resto essendo videoartista tendi a fare tutto da sola, a cominciare dal montaggio, a differenza di autori che delegano agli altri.
Sono autodidatta con la fissa per la téchne: per me è fondamentale conoscere gli strumenti del mestiere, fanno parte del processo creativo. Louise Bourgeois afferma che l’opera d’arte è quello che resta il giorno dopo la battaglia. È l’incontro-scontro tra idea e materia. Diffido degli artisti che non creano personalmente le proprie opere, credo che coloro che distinguano tra artigiani e artisti il più delle volte siano in cattiva fede.

Sei affascinata dal found-footage mi pare.
Le immagini d’archivio sono le voci del ‘900, è materiale delicato. Nel caso di Teresa, realizzato per Marcello Giannini, il repertorio rappresenta ciò da cui scappa la ragazza con il trolley: può essere il brutto sogno, la città di notte, il racconto della nonna o il ricordo d’infanzia. Ho utilizzato materiale molto diverso focalizzandomi sul montaggio.

C’è qualche musicista per cui ti piacerebbe girare un videoclip?
Mary Lattimore, arpista americana, poi vorrei fare un bel clip rock o industrial metal. Mi piace Iosonouncane e i Verdena e mi piacerebbe cimentarmi in generi che non ho ancora esplorato. La musica da camera è un mio vecchio pallino. Adoro Max Richter ma anche i Sepultura.

Pur essendo un’autodidatta hai avuto maestri?
Ho sempre cercato figure di riferimento e ne ho avute tantissime, difficile elencarle. Ma mi piace ricordare Claudio Sinatti, un grande visionario scomparso troppo presto.