Inaugurato l’8 dicembre scorso ma rimasto in stand by per altri otto giorni, l’ “ospedale in fiera” nella struttura ex Creaf di Prato ha finalmente accolto i sui primi ospiti. Soltanto due per ora, in un complesso che può arrivare a ricoverare 191 pazienti colpiti dal virus. Eppure non ha tutti i torti il presidente toscano Eugenio Giani, che ha voluto il ribattezzato centro Pegaso, investendo 5 milioni di euro e affidando l’operazione agli esperti ingegneri di Inso, specializzati in strutture sanitarie e finalmente liberati dalle pastoie del fallimento della loro ex capofila Condotte. “Grazie a uno sforzo eccezionale – osserva sul punto Giani – siamo riusciti a tempo di record ad allestire e rendere operativa una struttura di 1.700 metri quadri su due piani. E’ la prova tangibile che, di fronte all’emergenza sanitaria, si può rispondere nell’interesse generale della cittadinanza”.
Quel che il presidente toscano non evidenzia è però la vera, brutta notizia sul fronte del Covid. Perché l’Asl Toscana Centro è riuscita ad assicurare al centro Pegaso solo sei medici, nove infermieri e dieci operatori socio sanitari. “A questa iniziale equipe – puntualizzano dalla Asl – si aggiungeranno altri operatori provenienti da Careggi, che ha aperto un bando interno di mobilità volontaria per sei infermieri, quattro oss e tre medici. II personale medico è in parte dipendente e in parte a contratto libero professionale”.
Insomma il vero collo di bottiglia, che ha portato alla partenza al rallentatore di una struttura destinata alla cure a bassa intensità, è quello della carenza di personale. Un deficit che non riguarda solo il neonato centro Pegaso, ma più in generale l’intero Sistema sanitario toscano, tanto ricco di ospedali (vecchi e nuovi) quanto povero di medici, infermieri e oss. Povero a tal punto che, numeri del contagio, dei ricoveri e delle terapie intensive alla mano, le due settimane di zona rossa, e le altre attuali due di zona arancione cui è stata costretta la Toscana, pur salvifiche – visti i numeri in netto calo – sono ascrivibili in massima parte proprio alle carenze di personale medico.
Si tratta di una verità scomoda, che Giani e il suo assessore “sanitario” Simone Bezzini non vogliono (e non possono) scaricare sui predecessori Enrico Rossi e Stefania Saccardi, quest’ultima renziana di ferro, che nei dieci anni precedenti hanno “aziendalizzato” ulteriormente la sanità pubblica toscana. Con il plauso delle classifiche del confindustriale Sole24 sulla qualità dei sistemi regionali, che vedevano la Toscana sempre ai vertici nazionali. Ma con tagli su tagli ai costi complessivi del sistema sanitario, e dei conseguenti servizi ai cittadini.
Ben lo sanno Rifondazione e Sinistra Italiana, che cinque anni fa si videro negare un referendum popolare sul tema, richiesta corredata da quasi 40mila firme, grazie a un disarmante cavillo burocratico. Ora il Prc è tornato alla carica con la campagna “Prima la salute, prima la vita”, tesa alla denuncia e alla necessità di un capillare rafforzamento del servizio sanitario pubblico. “Si va dalla riorganizzazione e ripubblicizzazione delle Rsa – spiega Alessandro Favilli – ad assunzioni vere e non solo evocate. Da una programmazione seria per i vaccini, a una nuova governance territoriale partecipata e non affidata a manager ossequianti la politica e i poteri forti, fino a più sanità territoriale e di presidio, resuscitando l’ormai scomparsa medicina di prevenzione. Cioè l’esatto contrario di quanto fatto negli decenni sotto i governi – nazionali e regionali – di ciascun colore”.