Equivoco da chiarire: non è che da una parte ci sia Renzi il progressista che vuole cambiare tutto – abolire il Senato per risparmiare, che è come uccidersi per smettere di fumare; dare al premier il potere di revoca dei ministri (non gli è bastato il potere di revoca degli elettori?); prolungare i contratti di lavoro senza causale da uno a tre anni, a cominciare dal suo che così gli scade nel 2018 – e dall’altra parte ci siano i conservatori che non vogliono cambiare niente. La rappresentazione che dà Renzi è questa, anche quando il cambiamento ricorre a trucchi contabili per assicurare prima delle elezioni 80 euro in più in busta paga, slittati comunque di un mese (così gli italiani avranno più tempo per procurarsi un lavoro).

Non sempre il cambiamento è progresso: o il governo Monti, che in pochi mesi ha riformato lavoro, pensioni e norme di bilancio, sarebbe il più progressista della storia. La sinistra Pd è prigioniera della trappola: se ci opponiamo alle riforme passiamo per conservatori. Lo è perché incapace di rilanciare suggerendo cambiamenti che producano un progresso, tipo una vera legge anticorruzione (va bene che le tangenti sono un’eccellenza del Made in Italy, ma da qui a portarle all’Expo 2015…), un piano energetico nazionale che investa sulle fonti alternative (Putin ha ragione quando dice che le minacce Ue non lo spaventano: «Se non lasci la Crimea noi spegniamo i termosifoni e congeliamo!») o garantire uguali diritti alle persone, che è la prima cosa che può fare un governo per combattere l’omofobia in un paese dove i vescovi raccomandano che non si parli di gay agli studenti (giusto: rischi che se sentono storie di uomini in gonna che vanno a vivere insieme senza donne poi ti entrano in seminario).