Bello il ricordo di Salvatore Senese fatto ieri da Luigi Ferraioli, quasi una storia di Magistratura democratica sintetizzata nella vita di uno dei personaggi che l’hanno creata e portata ad avere un ruolo fondamentale per l’educazione democratica e costituzionale di molta magistratura italiana.

Tanti altri come lui hanno partecipato a questa importante opera di costruzione di una cultura delle garanzie e sarebbe difficile ricordarli tutti, ma ciò che li accomunava era la consapevolezza di doversi confrontare con i grandi problemi sociali, con il rispetto dei diritti dei lavoratori e della loro sicurezza fisica, con le disuguaglianze da una parte e con le immunità del potere dall’altra: rompere cioè la separatezza tra gli intoccabili togati e il mondo esterno di cui facevano necessariamente parte.

Le prassi conseguenti portavano ovviamente a duri contrasti con i capi degli uffici e con gli ermellini della Cassazione, ma anche con il potere politico abituato ad una magistratura amica e distratta quel tanto che bastava a non disturbare il conducente: inutile dire ai vari odierni protagonisti dell’affaire Csm che non si faceva carriera ma è soprattutto utile dire che alla carriera non ci pensava nessuno.

Nelle riviste Quale giustizia e poi Questione giustizia, negli interminabili consigli nazionali, nei convegni, si parlava solo della giurisdizione, dei modi per renderla più aderente ai dettati costituzionali, del carcere, del raccordo con Psichiatria democratica, delle lotte sociali in corso e come parteciparvi e con che ruolo.

Poi è scesa la pace.

Mani pulite, inchieste sui potenti, lotta alla mafia hanno rilegittimato la magistratura e si è creduto di poter smobilitare mentre oggi crescono diseguaglianze, povertà e disagio sociale, vengono smantellati i già sparuti settori di controllo della sicurezza sul lavoro e il numero dei lavoratori morti e invalidi è impressionante, tanto per citare qualche settore in cui ai «bei tempi» ci si sarebbe occupati.

È possibile, per esempio, che ai tanti presidi di lavoratori in lotta per contrastare le delocalizzazioni e la disoccupazione ora non vada a solidarizzare nessun magistrato?

Le emergenze sono diventate altre, si è virato sul puro sindacalismo e ci si è omologati.

Inutile fare gli ipocriti: se in un pacchetto di assegnazioni di capi degli uffici se ne assegna uno per corrente e uno tocca a Md, è chiaro che si è stati partecipi della contrattazione.

Se si ragiona sulla necessità di comportarsi in questo modo per non perdere voti per l’Anm e per il Csm allora è ovvio che il problema è il potere e non la qualità della giurisdizione.

Non c’è riforma del Csm che tenga, come diceva anche Giuliano Vassalli, se non cambia la moralità dei magistrati, se non c’è un’autoriforma.

Puoi anche pescarli a sorte, come si sorteggiano le bambole nelle fiere di paese, ma le cattive prassi non cambieranno se il Csm verrà vissuto come un luogo dove si esercita il potere fine a se stesso.

Almeno per Md un ritorno al passato sarebbe salutare e senza pensare al consenso elettorale, si potrebbe riprendere un più marcato impegno sociale e garantista, anche se difficile in un contesto dominato da pulsioni di destra.

Rieducare se stessi per rieducare gli altri: per una non breve fase Md ci era riuscita e ora in questa orgia di malcostume dovrebbe riprovarci.

Se non cambia in senso democratico la cultura dei magistrati non cambierà mai nemmeno il Csm, qualsiasi diavoleria inventeranno per riformarlo.