Per alcune generazioni di pianisti russi, L’arte del pianoforte di Henrich Neuhaus è stato una sorta di Bibbia: oggi viene ritradotta da Valerij Voskobojnikov, insieme a Valeria Chinzari, in una nuova edizione Sellerio (pp. 324, euro 18).

A sua volta pianista e didatta, Voskobojnikov seguì a Mosca i corsi di Neuhaus, rimanendo vicino al maestro nei due anni prima della morte e stabilendo con lui, con la sua famiglia e i suoi allievi, soprattutto Sviatoslav Richter, un rapporto duraturo, anche dopo la venuta in Italia.

«La scelta di una nuova traduzione – spiega nel corso di una nostra recente conversazione – è dovuta alla necessità di restituire l’originale stile colloquiale di Neuhaus, che si era perduto nel testo italiano. C’erano poi alcune questioni lessicali irrisolte, ad esempio il concetto ricorrente di immagine musicale, che ho reso più fedelmente in quello di «rappresentazione artistica».

Quali sono le scoperte alle quali è arrivato nel corso di questo lavoro?

Aiutando la figlia di Neuhaus nella pubblicazione degli scritti del padre, ho potuto correggere gli originali russi del libro, che avevano subito alcuni interventi censori. Dettagli, ma piuttosto significativi. Mi sono anche reso conto che era necessario un corredo di note, perché di tanti riferimenti si era perso il significato; volevo inoltre evidenziare molti rimandi segreti, le citazioni di Puškin, Blok, Majakóvskij fino alla filosofia greca.

Ho scoperto di recente che il commento «secco e arido genio», apparentemente rivolto a Czerny, nasconde la citazione di una poesia futurista dedicata a Neuhaus. Quando scrive «raggiungere e superare la grandezza di Rubinstein» usa una locuzione dell’epoca, velandola di sarcasmo, come per la definizione «ingegnere di anime umane», riferita usualmente a Stalin.

Neuhaus del resto parlava schietto e senza riguardi. Ripeteva la freddura che individuava la causa dell’invasione tedesca dell’Unione sovietica nella pessima esecuzione al Bolshoi della Walkiria, allestita in omaggio al patto Molotov-Ribbentrop. Nel 1941 Neuhaus venne anche arrestato, i verbali dell’interrogatorio sono stati trascritti dalla figlia nell’opera completa in russo.

Dal momento che il libro di Neuhaus è considerato un unicum, ci si chiede in cosa differisca dagli altri metodi di studio per il pianoforte…

Per la verità, il titolo corretto sarebbe Sull’arte di suonare il pianoforte. Nonostante la mole di esempi e consigli specifici, concepiti nella direzione di un uso naturale della mano, Neuhaus tendeva a lasciare la tecnica in secondo piano.

A suo modo il suo è un libro dedicato all’arte, con una particolare visione della tecnica pianistica come strumento di ascolto e interpretazione, per far musica e non per suonare veloce.

Nelle sue lezioni Neuhaus pretendeva molto dagli allievi, ma era anche uno stimolo continuo. La sua conoscenza dell’Europa era per noi che eravamo tagliati fuori dal resto della comunità musicale, una fonte inesauribile.

Di origine tedesca, figlio di una cugina di Szymanowski, Neuhaus era una personalità cosmopolita, parlava correntemente sei lingue. I suoi racconti sull’Italia hanno acceso la mia curiosità per il vostro paese. Non a caso uno dei primi estimatori del libro fu Pasternak.

A distanza di tanto tempo, quali capitoli appaiono oggi più attuali?

Dovrei rispondere quello sul suono, notissimo tra i pianisti, eppure penso che il capitolo sul ritmo sia particolarmente istruttivo: Neuhaus spiega magnificamente cosa si intende per rubato. Ho anche voluto inserire nel libro un link al sito che raccoglie le lezioni di Neuhaus, con la sua voce e i commenti.

Sono registrazioni amatoriali dal suono pessimo, ma penso che le esecuzioni di Chopin, Schumann, Beethoven e Debussy permettano di capire meglio metodo e insegnamenti di chi ha formato decine di pianisti, fra cui Sviatoslav Richter e Emil Gilels.