How we live together? è il titolo della Biennale d’Architettura di Venezia 2020 a cura di Hashim Sarkis, presentata ieri con una conferenza stampa, imprigionata nei monitor, nella totale solitudine di una diretta streaming dettata dalle misure contenitive del Covit-19.

Il presidente Baratta, ormai al suo nono e ultimo mandato, ha aperto il suo discorso sottolineando lo stretto contatto tra architettura e società, la capacità del progetto di trasformare le persone in cittadini consapevoli, e a questo riguardo ha citato People meet in architecture, la Biennale guidata da Sejima (annunciata come presidentessa della giuria). Nell’edizione di Hashim Sarkis questo spirito di comunità sembra proiettarsi in un orizzonte molto più ampio, quello comune ai paesi sottosviluppati e in via di sviluppo, dove il progetto d’architettura esprime sempre più l’urgenza di un impegno sociale e politico.

In collegamento dallo studio di Cambridge (Ma), Sarkis ha introdotto i temi della mostra a partire da ogni singola parola del titolo. «How» rimanda a una visione pratica, a un approccio concreto, «will» sottolinea la volontà di proiettarsi in un immaginario, «we» implica una visione empatica del progetto che include la nostra specie e tutte le altre, «live» indica l’espressione della vita e l’ottimismo intrinseco nel progetto, «together» esprime le azioni collettive, i beni comuni e i valori universali, e infine c’è il punto di domanda che lascia il campo aperto.

Il titolo esprime una questione antica e recente, che ogni generazione dovrebbe porsi e affrontare. Le norme sociali in continua evoluzione, le crescenti disuguaglianze sociali e i cambiamenti climatici ci pongono di fronte all’urgenza di quest’interrogativo, da affrontare nelle varie scale: corpo, città, pianeta. Tutto ciò verrà affrontato dai 114 paesi partecipanti, con una buona rappresentanza di architette e provenienti dall’Africa, dall’America Latina e dall’Asia, con progetti e ricerche delle università di tutto il mondo. Diversi saranno i nuclei tematici distribuiti negli spazi dell’Arsenale e dei Giardini. Nell’Arsenale verranno declinate varie forme di coesistenza nello spazio: a partire dalle visioni di rapporti tra umani e non, fino alla ricerca di nuove forme di nuclei familiari e di configurazioni dello spazio dell’abitare; altro aspetto è quello più ampio delle comunità, indagate alla luce di una riflessione sul senso civico, e a un ripensamento delle relative strutture spaziali come parchi, scuole, ospedali etc…. Emerge poi il tema più ampio del co-abitare, relativo alle modalità di convivenza nei vari ambienti: città, metropoli, megalopoli.

Nei Giardini, due i concetti posti in evidenza: il primo riguarda i confini politici e spaziali dell’architettura, con riferimento ai limiti interni urbani, ai rapporti tra urbano e rurale, fino ad allargare il respiro alle relazioni con l’Amazzonia, gli oceani e i Poli; il secondo ha come protagonista il pianeta e si rivolge alle questioni climatiche e alle urgenze del presente, aprendosi anche a spiragli di futuro, permettendo di immaginare gli intrecci possibili tra la terra e lo spazio esterno.

Visioni lontane, quelle descritte dal curatore, ma anche estremamente vicine, come quelle contenute in una sala dedicata alla città di Venezia, paradigmatico esempio di resilienza e di ospitalità: un ottimo materiale di studio per la ricerca su nuove, possibili, forme di coesistenza e strategie vincenti per vivere insieme.