C’era una volta il Mes e c’è ancora. È stato il pomo della discordia fino a due anni fa, quando si scatenò l’ultimo braccio di ferro sull’accesso al cosiddetto «Mes sanitario» invocato da Renzi e dal Pd, bocciato senza appello dall’allora premier Conte e dai 5S. Potrebbe esserlo ancora, anche se per il momento anche i reparti d’assalto anti Mes di ieri, la Lega e i 5S, si tengono defilati. Ma il momento della verità arriverà prestissimo: «Il governo conferma l’intenzione di presentare il ddl di ratifica del Mes alle Camere. Così l’Italia darà seguito agli impegni assunti con i partner europei», annuncia il ministro dell’Economia Franco.

UNA DATA PRECISA per la presentazione della legge non c’è ma dal Mef fanno sapere che sarebbe opportuno presentarsi al vertice Ue del 12 e 13 marzo con l’approvazione in commissione già in tasca. L’iniziativa del governo infatti non è precisamente frutto di autonoma iniziativa. Draghi e Franco la hanno decisa, come si divertiva a dire un tempo Antonio Di Pietro, «spintaneamente», cioè incalzati dalla pressione di Bruxelles che si è peritata di notificare le proprie aspettative, e cioè che «l’Italia proceda con la ratifica, non essendoci piani B». Più chiari di così…

Su 19 Paesi sin qui hanno approvato la riforma del fondo salva Stati tutti tranne la Germania, bloccata dall’attesa della sentenza della propria Corte costituzionale sul ricorso presentato a suo tempo dai liberali, e l’Italia. Proprio l’attesa di quella sentenza ha offerto sin qui all’Italia la possibilità di rinviare il doloroso passo ed è probabile che il governo sperasse di avere ancora un po’ di tempo a disposizione. Ma l’era Covid sta per finire e se da tanti punti di vista si tratterà di una liberazione, da quello degli impegni con Bruxelles e del rigore sui conti la situazione è opposta. Dunque la Ue, sin qui di manica larga per via del virus, torna a stringere le maglie e la riforma del Mes piomba sul tavolo della maggioranza.

CONTE, A NOME di uno dei partiti più ostili a qualsiasi cosa attenga al Mes, usa lo strumento a cui puntualmente ricorre quando si tratta di affrontare scelte difficili: rinvia. «Vedremo le modifiche, se sono sostenibili le appoggeremo. Ci aveva già lavorato il mio governo», afferma. L’esito di quel lavoro, però, era stata la proposta vincolante del pacchetto: l’Italia avrebbe cioè dato il via libera alla riforma del fondo salva Stati ma solo se contestualmente fosse stata varata anche la garanzia dei depositi per tutti gli europei, passo sostanziale verso l’obiettivo dell’unione bancaria.

I Paesi frugali, con in testa proprio la Germania per non parlare dell’Olanda, avevano però girato il pollice verso il basso in un nanosecondo. La sola idea di usare i risparmi dei loro Paesi per salvare quelli dei correntisti stranieri era tanto fuori discussione che il dibattito sul fondo di garanzia per il momento è scomparso dai radar. Non c’è dunque alcuna possibilità che se ne riparli in tempo utile. Cosa intenda Conte è dunque misterioso. Probabilmente mira solo a prendere tempo per verificare la disponibilità dei suoi gruppi a votare quel che sin qui hanno sempre rifiutato.

LA LEGA PER ORA tace, ma è come al solito incalzata dalla competitor Meloni che coglie al balzo una palla preziosa: «Noi non abbiamo cambiato idea: siamo pronti a respingere con tutte le nostre forze la riforma di un trattato che non fa l’interesse dell’Italia». Va da sé che, con le esigue forze parlamentari di cui al momento dispone, il partito di Giorgia non sarebbe in grado di respingere nulla. Ma l’obiettivo è un altro: mettere in difficoltà Salvini, già fiero avversario del Mes, con un’opposizione tanto rumorosa da far risaltare al massimo l’eventuale resa dei leghisti o da costringerli a dare una battaglia che per Draghi sarebbe inaccettabile.

L’eterno Mes servirà anche a fare un po’ di chiarezza sui rapporti, ogni giorno più gelidi tra Pd e 5S. Letta, quando ancora non era segretario, di dubbi sul Mes ne aveva avanzati a dozzine ma ora le cose stanno diversamente. Il Pd voterà a scatola chiusa e se Conte punterà i piedi sarà un ulteriore cuneo tra i due partiti che dovrebbero dar vita a una coalizione non ancora nata e già più che traballante.