Per Natalia Ginzburg, che la scrisse nel 1964 in pieno boom economico su esplicita richiesta di Adriana Asti, Ti ho sposato per allegria fu la prima prova teatrale (l’ultima, L’intervista, l’avrebbe scritta nel 1988 per Giulia Lazzarini). Ricorda la Ginzburg: «Venne da me un’attrice mia amica e mi chiese di scrivere una commedia per lei. Credo che sia la più allegra delle mie commedie. Della Asti ho fatto una ragazza sottile e gracile, più piccola di quanto non fosse, una ragazza disordinata e randagia. La scrivevo in fretta, senza piegarmi a respirare malinconie, nel timore di non riuscire a concluderla: l’ho finita in una settimana». La commedia non piacque a Elsa Morante, che la trovava «fatua, sciocca, leziosa e falsa», ma piacque al pubblico (a duettare con la Asti c’era Renzo Montagnani), tanto da replicare poco dopo sullo schermo, ma con la Vitti e Albertazzi, e sempre con la regia di Luciano Salce.

E piace evidentemente a Roberto Toni, che dieci anni dopo Maria Amelia Monti, Roberto Catania e Valerio Binasco, la consegna a Chiara Francini, Emanuele Salce e Piero Macarinelli, fino a domani alla Pergola di Firenze poi in tournée (a Roma, Sala Umberto, dal 14 gennaio al 2 febbraio). Lo stile della commedia (un tema, lo stile, che sembra appassionare la protagonista Giuliana) è quello volatile, solo apparentemente leggero, da lessico familiare, tipico della scrittrice. Che dietro la routine del quotidiano («la vita è molto avara di tragedie» dirà un suo personaggio) e il fitto chiacchiericcio dell’ovvio nasconde sottili strati di inquietudini, refoli di malessere, filigrane di alienazione e lacerazione domestica. La crisi è borghese, la famiglia un enigma (perché ci si sposa?) e fra un cappello che non si trova e un armadio quattro stagioni, marito svagato e suocera ingombrante, il male di vivere si insinua, serpeggia tiepido e prende forma nelle prove di una società che da lì a breve avrebbe affrontato battaglie civili come il divorzio e l’aborto, ma che ancora canta Siamo i watussi altissimi ‘negri’.

Chiara Francini, al primo ruolo da grande, costruisce una bambolina ingenua e sbarazzina dall’inedito birignao yè yè, assecondata dalla regia cinica di Maccarinelli che chiude il quadretto sulle note di Barbara Ann dei Beach Boys. Fra molte contraddizioni e datati meccanismi spicca Anita Bartolucci che nel secondo atto ruba la scena. Completano il cast Giulia Weber e Valentina Virando.