Sfogliando la voluminosa cartella stampa che introduce l’edizione 41 del Torino Film Festival (dal 24 novembre al 2 dicembre) – l’ultimo con la direzione di Steve Della Casa, al quale succederà il prossimo anno Giulio Base – si ha l’immediata percezione di un festival nel segno di un gigantismo onnivoro, lo stesso che peraltro accomuna quelle manifestazioni nate come contenitori intorno ai quali far ruotare anche la città che abitano, i suoi possibili pubblici occupando spazi estesi del territorio. Un po’ come accade per fare un esempio con la Festa di Roma – così però sin dall’origine, rispetto a quello torinese nato nel secolo scorso come Festival Cinema Giovani.

È CERTO che l’offerta variata potrà attirare spettatori molteplici, la scommessa dei programmatori è probabilmente far sì che ci si costruiscano percorsi personali ciascuno secondo i propri orientamenti e interessi; qualcosa però si è perduto in termini di singolarità della proposta – al di là della qualità dei titoli in selezione – ciò che la rendeva diversa da altre nel mondo e in Italia.
Certo fa sempre piacere intercettare film di cui si è parlato da altri festival, come Christian Petzold che presenterà il suo Afire, commedia ironica dei sentimenti in uscita poi il 30 novembre, Orso d’argento alla Berlinale. O Victor Erice con il capolavoro del ritorno al cinema, Cerrar los ojos, la storia di un’assenza, quella di un attore scomparso all’improvviso, molti anni prima, che il regista è convinto sia ancora in vita, si fa riflessione sulla memoria e sull’oblio. E ancora i Radu Jude col Pardo d’oro Do not expect too much from the end of the world e l’anteprima di The Holdovers di Alexander Payne – in sala anch’esso il 30 novembre.

Nel concorso internazionale riservato agli esordi, si va da La palisiada di Philip Sotnychenko, giovane regista ucraino molto acclamato per questo strano thriller che indaga nel passato del suo Paese, gli anni Novanta, che coincidono con quelli della fine dell’Unione sovietica e della sua infanzia; a O Grace di Ilya Povolotsky, un on the road di un padre e una figlia che portano in giro il cinema attraverso la Russia di cui disvela paesaggi inattesi. E ancora l’animazione di Chiara Malta e Sébastien Laudenbach Linda veut di poulet! o per l’Italia Non riattaccare di Manfredi Lucibello con Barbara Ronchi. Dalla Corea del sud arriva Birth di Jiyoung Yoo, in cui una gravidanza inattesa spezza l’equilibrio di una coppia rivelando sentimenti crudi. Camping du lac di Eléonore Saintagnan si immerge invece nelle leggende che permeano il paesaggio intorno ad un campeggio sul lago.
Tra concorsi documentari, cortometraggi e fuori concorso, suddivisi in numerose sezioni «a tema», moltissimi i film italiani di autori giovani e meno giovani, di finzione e documentari, lungometraggi e formati brevi. A cui si aggiunge un focus sulle giovani generazioni argentine – anche nel concorso internazionale con Arturo ha trent’anni, una sorta di romanzo di formazione di un ragazzo un po’ nevroticamente attaccato all’età infantile.
Omaggio a John Wayne – che campeggia sul manifesto del festival firmato ancora da Ugo Nespolo – col titolo Mezzogiorno di fuoco; retrospettiva dedicata a Sergio Citti nel novantesimo anno dalla nascita.