Kimono verde, pantaloni di pelle rossi e vertiginosi tacchi su cui caracolla dalla porta d’accesso al palco fino al pianoforte. Tori Amos ritorna in Italia con una serie di concerti sull’onda di un nuovo album appena licenziato, Unrepentant Geraldines, dove si conferma ancora una volta come una delle più importanti figure del cantautorato femminile americano arrivato sulla scena del pop a inizio anni novanta.

Il disco – quattordici pezzi, ma ne esiste anche una versione alternativa con dvd , bonus track, sessione fotografica – segna il ritorno al pop dopo una immersione nel classico che l’hanno vista flirtare con orchestre e arrangiamenti barocchi su arie di Debussy, Chopin e Schubert. Canzoni nello spirito di un’artista che anche nei testi ha privilegiato sempre argomenti forti e critici nei confronti della società Usa. Me and the gun, uno dei suoi primi pezzi, condannava la moda dei ragazzi americani di acquistare prima un cheeseburger da McDonald’s e subito dopo una pistola nel negozio vicino. Geraldine del titolo – ispirato a un quadro ottocentesco dell’irlandese Daniel Maclise – ha spiegato lei stessa: «Sono quelle donne che nei secoli si sono sentite costrette a chiedere perdono per quello che pensavano. Le donne, invece non devono farlo, non devono provare vergogna e indossare delle maschere: è solo quando le togliamo che capiamo cosa fare. Anche se togliere la maschera è faticoso, perché devi cominciare a pensare con la tua testa…».

Eh sì, il piccolo folletto dai capelli rossi non le manda a dire. Non è un caso se è riuscita in poco più di venti anni di carriera a vendere 20 milioni di copie, aggiudicarsi Grammy Awards ed esibirsi in mille – li hanno stimati i fan più accaniti – concerti. I nuovi show hanno una messa in scena sobria e mettono ancor più in risalto la parte passionale della sua personalità. Voce duttile – più il tempo passa e più le influenze di Kate Bush sono evidenti, con passaggi dai toni altissimi alternati a bassi sensuali. E poi la tecnica pianistica prodigiosa (a due anni ha cominciato a suonare, a cinque aveva già vinto una borsa di studio…). Per le date italiane ha però scelto di affidarsi a un repertorio basato sui precedenti lavori, proponendo solo due nuovi brani: Weatherman e Invisible boy. Un set che si è rivelato un’antologia live dove non mancano passaggi fondamentali, come la dolente ballata Crucify – contenuta in Little Earthquakes – qui spogliata da ogni orpello ritmico e resa ancora più bella nella versione piano e voce.

Mani che si rincorrono veloci sulle due tastiere e braccia che si aprono a sottolineare la fine dei brani, qualche dialogo breve con il pubblico che trova il modo di interagire con lei battendo le mani sulle note di Past the Mission.

Nonostante l’ampia discografia, Tori Amos ama inserire qualche rifacimento – nel 2001 si è cimentata addirittura con un intero progetto, Strange Little Girls, composto da cover di Tom Waits, Neil Young, Bob Geldof. All’Auditorium è la volta di The Rose, reso celebre da Bette Middler nel 1979 e di Boys in the Trees di Carly Simon, riprese in due versioni centrate e coinvolgenti. Nel bis Cornflake girl l’unico momento in cui a supportarla è una base ritmica pre-registrata (d’altronde l’album di origine, Under the Pink del 1994, era un’ambiziosa collezione di tracce rivestite da ritmiche influenzate dall’allora imperante trip-hop). È un delirio sotto il palco tra pelouche, bigliettini, cd autografati, mentre Tori saluta fa un inchino e si congeda.