La guerriglia a colpi di dispetti tra i soci di un contratto sempre più sbiadito prosegue e per la seconda volta in due giorni sottrae al governo la maggioranza assoluta nell’aula del Senato. Le due mozioni di sfiducia contro Danilo Toninelli, una targata Pd, l’altra Fi, vengono bocciate entrambe. Non c’erano dubbi di sorta. La sola variabile erano i numeri, l’asticella dei 161 voti, necessaria per garantire una maggioranza assoluta e autosufficiente. La mozione del Pd incassa 102 voti contro 159. Quella di Fi sale a 110 voti a favore mentre i no scendono a 157. La maggioranza assoluta non c’è e i capigruppo del Pd e di Fi rigirano il coltello nella ferita: «La maggioranza non c’è più». Meno di 24 ore prima era toccata la stessa sorte a Salvini. Senza il soccorso di Fi e FdI oggi sarebbe sotto processo. Nel suo caso la maggioranza assoluta era d’obbligo ma i voti a sostegno si sarebbero fermati a 153.

LA MESSA IN SCENA è ancor più eloquente del pallottoliere. Il «processo» a Toninelli si svolge in un’aula mezza vuota, disertata sino all’ultimo dagli stessi compagni di partito del ministro. Sui banchi del governo figura Barbara Lezzi, che aveva invece mancato l’appuntamento con il voto salva-Salvini ma per un po’ resta sola. I ministri M5S arrivano con comodo e la coppia di testa, Conte e Di Maio, si fa attendere sino all’ultimo. La delegazione leghista invece è tutta assente e il capogruppo del Pd Marcucci non manca di farlo notare: «Sarà un caso?». Alla fine un paio di ministri leghisti si affacciano, Centinaio e Giulia Bongiorno. Salvini invece non spunta. E’ in Basilicata a raggranellare voti.

SONO MOZIONI bizzarre quelle che vorrebbero mandare a casa Toninelli e gli interventi in aula si muovono sulla stessa lunghezza d’onda. Le critiche sono acuminate e per lo più fondate ma tanto vaghe e generiche da non giustificare una mozione di sfiducia, che dovrebbe basarsi su episodi specifici. La verità è che si tratta di pronunciamenti più a favore della Tav che contro il ministro. Marcucci solo di Tav parla, Fi è un po’ meno monomaniaca ma il pezzo forte resta la tratta della discordia. Tanto che la capogruppo di LeU Loredana De Petris, no Tav della prima ora, annuncia che non parteciperà al voto, come altri senatori di LeU. «Erano mozioni pro Tav travestite da sfiducia contro Toninelli», spiegherà.
Il dibattito vola basso, con frequenti allusioni alle ancor più frequenti gaffe del ministro, «I carabinieri la ringraziano perché ormai le barzellette non sono più su di loro ma su di lei», «Ogni mattina gli italiani si svegliano chiedendosi quale sarà la gaffe quotidiana di Toninelli», e via sullo stesso tono. Il ministro replica rivendicando meriti: «Ringrazio chi ha presentato le mozioni perché mi permette di illustrare i miei risultati». Per non smentire la meritata fama di gaffeur parte dal capitolo immigrazione, anche se tutti sanno che su quel fronte si sarebbe mosso in modo ben diverso, se avesse avuto la forza di opporsi al fluviale collega degli Interni. L’asso nella manica è l’annuncio che a breve arriveranno le targhe portatili: «Così si risparmieranno tempo e denaro».

QUALCHE INCIDENTE di prammatica, come il 5S Airola che interrompe il forzista Biasetti con un «Siete quelli del Bunga Bunga», battuta non proprio da oscar e che tuttavia suscita grande ilarità nei banchi del governo. Gli azzurri si prendono la rivincita con Giro che rivolge ai pentastellati uno dei loro tipici gesti, quello delle manette. La presidente Casellati si sgola, rimprovera, censura, deve combattere con i senatori che, a partire da Marcucci insistono nello sforare i tempi a disposizione. Ma persino le scaramucce sono sotto tono.
La doppia saga del giudizio del Senato su Salvini e Toninelli è finita. Lo squarcio che ha aperto sulla realtà dei rapporti interni alla maggioranza è però eloquente. Se i due partiti di governo non si sono mai amati molto, adesso vivono il ménage come pura costrizione: un obbligo. In condizioni normali il comune interesse basterebbe a garantire la tenuta di una maggioranza scollata. Nella fase difficile che si prepara, con nodi irrisolti essenziali come la Tav, la Flat Tax e le autonomie, non è affatto certo.