Troppo spesso, gli animali vengono considerati simili a macchine viventi. Formiche e pappagalli agirebbero automaticamente secondo una logica idraulica. Se la pancia è vuota, occorre riempirla; quando il livello degli zuccheri cala nel sangue, il corpo trova prontamente l’approvvigionamento necessario. La storia della vita sul nostro pianeta sarebbe riassumibile in un’enorme corsa agli armamenti evolutivi: organismi sempre più complessi devono rispondere meccanicamente a un numero di bisogni in costante aumento.

Contro questa visione semplicistica, lo psicologo evoluzionista Michael Tomasello propone un’articolata sinossi  della Storia naturale dell’azione, termine chiave che compare come  sottotitolo del suo ultimo saggio, Dalle lucertole all’uomo (Raffaello Cortina, pp. 215,  € 20,00). Per molti esseri viventi, questa la tesi,  decisivo è non soltanto reagire a uno stimolo interno (mancanza di calorie) o esterno (l’odore del cane rivale), ma poter controllare le strategie di intervento nella propria nicchia ambientale. Per superare le sfide ecologiche che si prospettano a ogni essere animale, le diverse forme di vita affronterebbero quattro tipi di «incertezza», da risolvere con altrettante modalità di azione. Il primo livello di controllo pratico è individuato in una classe di vertebrati di solito sottovalutata: nei rettili, racconta Tomasello, è possibile constatare un sorprendente grado di flessibilità. La lucertola comune mostra che lungi dall’essere «solamente guidata dallo stimolo» perché «diretta verso un obiettivo», è in grado di apprendere nuovi comportamenti, a seconda del contesto, ad esempio rimuovere un coperchio per recuperare il cibo. I rettili possono inibire l’azione tramite una strategia grezza ma efficace, riassumibile più o meno così: «procedo o non procedo», conviene  immobilizzarsi per attendere il momento giusto oppure inseguire direttamente la preda?

A partire dai rettili, uno schema a cerchi concentrici comprende un numero sempre maggiore di specie e abilità cognitive. Nei mammiferi, al feedback comportamentale si aggiunge il monitoraggio delle proprie scelte e la costruzione di piani finalizzati a conseguire degli obiettivi. In prove di laboratorio, i topi affrontano scelte sofisticate misurate in base «alla propria incertezza nel prendere quella decisione». Se il compito sperimentale comporta un margine di incertezza troppo elevato per ottenere cibo, il roditore rinuncia accontentandosi del premio minore previsto dall’esperimento quando si abbandona la prova. Nei primati, è evidente la capacità di pianificare il futuro: grazie alle loro facoltà di metacognizione (cioè di accesso ai propri stati mentali), le scimmie individuano il problema che rende inefficace lo schema d’azione per poi escogitare soluzioni ad hoc. Gli scimpanzé si dimostrano abili, com’è noto, nell’usare strumenti, e quando ne scoprono l’utilità li portano con sé fino alla successiva prova sperimentale. A questo bagaglio di capacità, gli umani sommano forme di autoregolazione di ordine sociale, non più legate semplicemente alle dinamiche cognitive del singolo organismo ma dettate dalle norme del proprio gruppo culturale. Non è più solo la nicchia ambientale (la savana e la foresta, le profondità oceaniche o gli acquitrini montani) a offrire tempi e modi dell’azione ma la società cui si appartiene con specifiche istituzioni, abitudini e dettami: «tra di noi si fa così».

Nel dare seguito a un’operazione ambiziosa, già avviata in opere precedenti – da  Diventare umani a Storia naturale della morale umana – alle prese con un tentativo tanto complesso di riorganizzazione teorica, Tomasello è costretto a compiere alcune scelte rischiose. Di fronte all’inevitabile irreperibilità di evidenze sperimentali circa il comportamento delle specie che hanno preceduto Homo sapiens, dà per scontata l’opportunità di adottare «una visione della psicologia umana “a strati di cipolla”», arrivando a ipotizzare che il nostro comportamento sia il risultato della sommatoria di abilità proprie ai rettili, ai mammiferi, ai primati, più alcune altre specifiche.

Benché elegante, questo orientamento rischia di riportarci nostro malgrado a un’idea progressiva dell’evoluzione: nella ricostruzione di Tomasello, le grandi scimmie cessano di essere cugini evolutivi per diventare l’analogo vivente dei nostri progenitori. Il cespuglio evolutivo di Darwin rischia di rimanere schiacciato su una linea retta. Lungo il medesimo pendio sta anche  l’applicazione «per inferenza ai primi umani moderni» di studi circa la prassi sociale di «bambini dai tre anni in su». L’equazione comportamentale-cognitiva tra adulti vissuti 200.000 anni fa e bambini che giocano con smartphone e costruzioni in plastica modulare è suggestiva, ma non ovvia. In che modo, ad esempio, le diverse epoche storico-normative incidono sul modo di agire dei primi sapiens e dei bambini odierni?

È proprio l’infanzia, tuttavia,  a aprire, nel saggio di Tomasello, una strada promettente. In più di un passaggio, lo psicologo statunitense nota come il prolungamento del tempo infantile, cioè il rallentamento dell’ontogenesi, faciliti l’acquisizione di nuove strategie di azione per le specie più diverse. Potrebbe essere questa la strada in grado di difendere un enorme lavoro ricostruttivo dalla tentazione, che a volte sembra affacciarsi tra alcune pagine del testo, di concepire la variazione delle specie in termini lineari-progressivi.