Sotto quello stesso cielo che vide gli esperimenti di Leonardo, novello Icaro ossessionato da macchine alate e calcoli aerei, Tomás Saraceno invita a riconsiderare il volo, spostando la sua casella nell’immaginario: da sogno a incubo. Non perché l’umanità abbia smarrito la potenza della fantasia, ma per la «violenza» con cui ha solcato le nuvole, è approdata sulla luna, ha scaricato combustibili fossili in quel «fondo di oceano d’aria» in cui siamo immersi, come diceva Evangelista Torricelli, brillante discepolo di Galileo Galilei.

L’ARTISTA ARGENTINO, che a Firenze nelle sale di Palazzo Strozzi ha allestito la sua mostra (Tomás Saraceno. Aria, a cura di Arturo Galansino, fino al 19 luglio, catalogo Marsilio) non ha dubbi: è ora di un cambio di passo, di modificare le abitudini in direzione di un comportamento ecosostenibile. E nella città-principe dell’Umanesimo, a poche centinaia di metri dalla perfezione della cupola realizzata da Brunelleschi, lancia la sua sfida attraverso altre forme di vita, chiedendoci di essere semplici visitatori del pianeta in mezzo a tanti abitanti ben più blasonati di noi, con milioni di anni di esistenza (e competenze nello «stare al mondo») alle loro spalle. «In realtà – dice – stiamo ancora tutto volando su questa navicella spaziale che è la Terra, soltanto che tendiamo a dimenticarlo. L’epoca dell’Aerocene invita quindi a viaggiare, a continuare ad essere passeggeri, sintonizzati però su abitudini diverse».
In Argentina, in un luogo difficile ed emarginato (Salinas Grandes), dove la popolazione è assediata e intossicata dall’attività di estrazione del litio, Saraceno ha fatto volteggiare nel cielo bambini e adulti con le sue speciali mongolfiere/aquiloni (kit di volo portatili) che non prevedono l’uso di elio, idrogeno né altri combustibili. Questa festa della partecipazione attiva accadrà in maggio anche in Italia, alle Manifattura Tabacchi con gli Aerocene Flights, mentre il Museo Aero Solar raccoglierà i sacchetti di plastica lasciati dai visitatori per poi sperimentare nuove forme di mobilità, alimentate dall’energia solare.
«L’Aerocene – afferma il Manifesto di questa nuova era che soppianta l’Antropocene – vede lo spazio come un luogo di proprietà comune, fisico e immaginario, libero dal controllo delle grandi società e dalla sorveglianza dei governi. L’Aerocene promuove un accesso libero – e non soggetto a misure di estrema sicurezza – all’atmosfera, l’ultimo strato terrestre… È una proposta, una scena nell’aria, sull’aria, per l’aria e con l’aria».

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COSÌ, PER INVENTARE una serie di futuri possibili che incamminino la nostra e le altrui specie verso una condivisione pacifica dell’habitat e non di folle distruzione, Saraceno ha scelto un animale amuleto, un costruttore imperterrito di resistenti città aeree: il ragno. È a lui che affida profezie oracolari tanto che la stessa mostra fiorentina è pensata come fosse un organismo vivente «dettato» da una serie di visioni scaturite dai trentatré tarocchi dell’aracnomanzia (e una volta a settimana, su prenotazione online, il pubblico potrà farsi leggere le carte a Palazzo Strozzi).

Le ragnatele, quei magnifici web che sono corpi vibratili in sintonia con l’ambiente, vengono preservate – l’artista è stato il primo ad averle scansionate in 3D – e lasciate proliferare, in architetture intricatissime, anche nei musei: per Saraceno, sono loro le silenti ambasciatrici di interconnessi mondi utopici: «sono io che vivo a casa dei ragni o loro a casa mia?», si domanda nell’aprire a scenari alternativi, spiazzando il punto di vista umano. Come il pulviscolo stellare delle galassie, come l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, sono universi inesplorati che raccontano storie antichissime, sprigionano musiche cosmiche, tessono gli fili elastici del futuro.
Ma Tomás Saraceno è anche celebre per la sua capacità di inganno della percezione comune attraverso superfici specchianti, bolle d’aria, giardini fluttuanti con piante che si autorigenerano con la luce. Il suo «atelier» – scientifico e creativo – è pervaso di biosfere che scardinano le certezze sensoriali a favore di una caleidoscopica interpretazione.

I SUOI « CONNECTOME» guardano alle tappe neuronali del cervello, mentre con Aerographies si mescolano territori terrestri e celesti. I disegni – cartografie leggere che prendo vita con lo spostamento d’aria provocato dai visitatori nella sala – vengono tracciate dalle polveri inquinanti di Mumbai, usate al posto dell’inchiostro. Sono atlanti disordinati e senza confini, itinerari di un vagabondaggio della materia (noi) che fluttua nello spazio, come fosse un respiro collettivo.