«Ti sto spiegando/per confonderti/ Ti sto confondendo/per chiarirti/Sto illuminando/per poter accecare/Sto diventando cieco/per poter guidare (Tò)»
Antonio José Santana Martins, Tom Zé, ha da poco compiuto 83 anni e i versi riportati sopra appaiono nel disco che ne sancisce il declino di musicista, nel suo Brasile, nel 1976. Quell’album si intitola Estudando o samba, studiando il samba, e sarà quello che una decina di anni dopo gli darà la possibilità di una nuova carriera, finendo tra le mani di David Byrne a caccia di dischi in un pomeriggio di Rio de Janeiro. Se si dovesse scegliere una strofa che racchiuda lo spirito, il carattere, l’audacia, la libertà, l’intelligenza propria del lavoro che il musicista Tom Zé ha portato avanti per più di sessant’anni, sarebbe perfetta. Ironia compresa.

E SE C’È QUALCOSA che attraversa, e scrive, e racconta la storia di un popolo e di un Paese, quella è senz’altro la sua musica, soprattutto in un posto che si chiama Brasile. Niente di strano, allora, nel ritrovarne il racconto nel racconto di un personaggio così emblematico e insieme inclassificabile, compito che ha brillantemente affrontato Pietro Scaramuzzo scrivendone la prima biografia ufficiale per i tipi di Add Editore.

MOLTO LONTANO dalla pedanteria e dallo «specialismo» di certe biografie musicali, Tom Zé- L’ultimo tropicalista (Add Editore, Torino 2019) è in massima parte la scrittura del racconto di sé che Tom Zé ha fatto a Scaramuzzo: un romanzo denso di storie, capace di abbracciare sessant’anni attraverso una vicenda umana e artistica che fa luce e accende interrogativi, spiega, confonde, chiarisce e guida. Spiega l’intreccio singolare che ha portato alla formazione di una cultura unica, in quel Nordest lembo impoverito e analfabeta di un paese gigante, in cui per centinaia di anni si sono narrate imprese di cavalieri che combattono mori arrivate con le caravelle dei conquistatori, lasciate lì a sedimentare in un semiarido tropicale che le ricrea e le plasma e ne fa gare di improvvisazione fra cantastorie vagabondi. Confonde le certezze che pensiamo di avere su cosa sia la musica brasiliana, la bossanova da aeroporto e sale d’aspetto del dentista, il tropicalismo rivoluzionario che finisce per mangiare sé stesso. Chiarisce i tempi, la vicenda storica, da un luogo ai margini che è esattamente l’occhio del ciclone, abitato da un uomo piccolo e tormentato e fanciullo eterno. La frenetica São Paulo lo assimila e lo dimentica lontanissimo a costruire strumenti in grado di riprodurne i rumori, insieme agli umori. Quella stessa città che l’aveva portato al successo all’inizio di carriera, applaudendolo vincitore di un festival in cui sembrava celebrarla – São São Paulo Meu Amor.

FRA LE PAGINE di questo viaggio spazio-temporale c’è il Brasile meraviglioso e pieno di promesse a cavallo fra gli anni 50 e i 60: il sogno utopico di Brasilia e gli accademici europei che insegnano al Conservatorio di Salvador de Bahia, Kollreutter, Smetak. C’è la nascita del teatro libero, e poi le arti plastiche, Helio Oiticica, Glauber Rocha, il Cinema Novo, la poesia concreta. Tom Zé attraversa tutto, sperimenta tutto, siede con il funzionario della censura che gli fa modificare i testi durante gli anni più duri della lunga dittatura, finisce in prigione un paio di volte, recita nella versione brasiliana del Rocky Horror Picture Show e si esibisce alle feste private e nei raduni universitari per sbarcare il lunario nei lunghi anni dell’ostracismo.

SE GLI ALTRI tropicalisti mettono a punto strategie di sopravvivenza all’industria musicale, cavalcandone l’onda, Tom Zé radicalizza la sua ricerca, scompone in pezzi piccolissimi la scatola di costruzioni della musica brasiliana, e instancabilmente la rimonta. Arriva a teorizzare una vera e propria estetica del plagio – chiama le sue composizioni arrastão, letteralmente è la pesca a strascico, ma identifica in Brasile i furti massivi, operati da ragazzi che corrono fra la folla rubando tutto quello che capita. Lo stesso fa con la parola, e non manca il gioco del significare. Chi ha avuto la fortuna di vederlo dal vivo – a Roma nel 2005 presentò il suo album Estudando o pagode – (Opereta segrega mulher e amor) – sa quanta parte di ironia nordestina abiti i suoi giochi verbali, che parli del turismo sessuale sulle spiagge di Fortaleza (O Pib do Pib – Pib è prodotto interno bruto, insomma il Pil) o del compagno Bush (Companheiro Bush), o che chieda perdono al Papa per aver infranto le regole del tribunale di Facebook, prestando la sua voce alla pubblicità della Coca Cola nei contestatissimi Mondiali di calcio del 2014 (Papa Francisco perdoa Tom Zé).

SONO PASSATI trent’anni dalla prima volta che ho ascoltato Tom Zé, e da allora la mia concezione della storia della musica pop è cambiata per sempre», scrive David Byrne nella prefazione del volume di Scaramuzzo. Per chi scrive, è già sufficiente avere il pretesto di ascoltare ancora la musica di questo «Eré, creatura a metà strada tra l’uomo e gli Orixàs, le divinità sincretiche brasiliane», come lui stesso si definisce nell’ultima di copertina, e di poterne finalmente leggere una biografia che si colloca a metà strada fra storia e avventura.