Tom Zé, classe 1936, è il geniale protagonista di un Brasile culturalmente fecondo e allo stesso tempo disgregato. Zé, che nell’ottobre scorso ha festeggiato 85 anni, ha avuto una carriera oscillante: dal successo televisivo ai tour auto-organizzati nei piccoli centri della provincia. Con Caetano Veloso e Gilberto Gil ha dato vita alla fine degli anni Sessanta al movimento tropicalista, ma è stato poi relegato nell’anonimato per una ventina d’anni, fino a che David Byrne non lo ha messo sotto contratto per la sua Luaka Bop, trasformandolo in icona del tropicalismo sperimentale. Zé rappresenta ancora oggi una preziosa chiave di lettura, non solo della musica brasiliana, ma della storia della musica popolare. Questo bahiano di Irarà (cittadina di trentamila abitanti quasi sulla costa atlantica) è sempre stato molto generoso nei tributi ai maestri. Nella sua costellazione di riferimenti si incontrano il Manifesto antropofago di Oswald De Andrade, l’architettura di Lina Bo Bardi, l’innovazione pubblicitaria di Washington Olivetto, la rivoluzione filmica di Glauber Rocha, quella letteraria di Clarice Lispector (cui dedica il bellissimo Clarice nel suo ultimo album datato 2021, Língua brasileira). Zé non ha mai esitato a inserire i suoi «numi» nei testi delle sue canzoni e a giocare con il loro immaginario, in una sorta di rimbalzo creativo, da genio a genio, che ha usato il carisma altrui per corroborare il proprio. Lo ha fatto anche con le icone musicali della sua formazione, e in genere con tanti suoi colleghi, la cui aura si è divertito a omaggiare con in faccia stampata la solita espressione, una via di mezzo tra l’inchino e lo sberleffo.

LIRISMO TOCCANTE
Quando ha licenziato Vira lata na Via Láctea nel 2014, l’artista verdeoro era arrivato al quindicesimo album. Dopo Estudando o samba, era il primo che non rientrava nella categoria di concept album. Un disco corale e molto sfaccettato. Coinvolgeva una quarantina di musicisti e attingeva alla scena indipendente di São Paulo e non solo (O Terno, la Filarmônica de Pasárgada, Criolo, Trupe Chá de Boldo, Silva), fatta eccezione per due nomi dell’olimpo della musica brasiliana: Caetano Veloso e Milton Nascimento. Nel carnet sonoro si andava convulsamente dal rap al jazz fino al samba e all’avanguardia elettronica. La Música Popular Brasileira, nella sua forma più tradizionale, faceva solo capolino nelle atmosfere della scaletta. Con la traccia 5, ecco la prima dedica: Milton Nascimento cantava Pour Elis, composta da Tom Zé e ispirata a una lettera che Fernando Faro aveva indirizzato a Elis Regina in occasione della morte prematura della diva di Porto Alegre, il 19 gennaio 1982, per una overdose di cocaina. La scelta da parte di Zé di affidare questo brano alla voce di Milton era dettata dal forte rapporto che legava Nascimento (o «Bituca», come lo conoscono in Brasile), a Elis. Nelle corde di Milton, in effetti, Pour Elis raggiunge un lirismo profondamente toccante, facendo affiorare nel timbro e nelle vibrazioni della sua voce il dramma di una carriera stroncata troppo in fretta. Contribuiva al crescendo di tensione emotiva la chitarra acida di Kiko Dinucci, uno dei chitarristi più interessanti dell’universo alternativo brasiliano. «Ora toglimi la copertura di carne – recita il testo – tutto il sangue scorre/Diluisci le ossa in fili luminosi/E, così si dice: racconta la vita».
Negli anni Tom Zé, salvo qualche isolato episodio, aveva evitato di proposito di ritrovarsi faccia a faccia con i ritmi sincopati e melliflui della bossa nova: «Se faccio musica sperimentale, come la chiamano gli americani, o mi invento strani strumenti è solo perché sono incapace di padroneggiare la raffinata tecnica della chitarra e il delicato stile vocale inventato da João Gilberto». Quando negli anni Zero del terzo millennio, si era infine abituato all’idea di dedicare un album alla bossa, si era reso conto che erano passati quasi cinquant’anni dal giorno in cui le radio brasiliane avevano trasmesso la voce sussurrata di João Gilberto che cantava Chega de saudade. «João, e se facessi un disco di bossa nova?». João Marcello Bôscoli, il suo produttore di allora, era stato lapidario: «La bossa nova è un genere vecchio. Tu sei un vecchio. Se proprio devi fare un disco di bossa, per lo meno circondati di artisti giovani». Tom Zé concordava con lui. Alcuni mesi più tardi, quando si era sentito pronto, si era voluto circondare di una schiera di giovanissime artiste brasiliane, pronte a svecchiare il genere che fu di João Gilberto. Erano figlie della Vanguarda Paulista, che aveva dominato la scena per circa un decennio, fino al 1985. Anelis Assumpção, figlia di Itamar, Márcia Castro, Mariana Aydar, Zélia Duncan e Fernanda Takai. A pubblicare l’album era la Biscoito Fino, l’etichetta fondata dalla cantante Olivia Hime, moglie di Francis, compositore vicino agli ambienti della bossa nova. Si intitolava Estudando a bossa-Nordeste Plaza e uscì nel 2008. Il sottotitolo era un riferimento al grande centro commerciale paulistano, il West Plaza, frequentato da molti nordestini, e soprannominato per questo Nordeste Plaza. In questo vero e proprio concept album c’era anche João nos tribunais, solo voce e chitarra, un brano che offriva la cronaca dettagliata di un’ipotetica causa intentata da João Gilberto per ottenere i diritti d’autore dei molteplici brani ispirati alla bossa nova: «Se João Gilberto intentasse un processo e andasse nei tribunali/per reclamare i diritti d’autore di tutti i samba-canção che con la sua registrazione sono diventati bossa nova/qualunque giudice in toga con martello e pistola/senza un minuto di pausa/gli farebbe vincere la causa». Estudando a bossa chiudeva la trilogia iniziata nel 1975 con Estudando o samba e continuata nel 2005 con Estudando o pagode. Rispetto ai precedenti questo era il disco con il minor slancio sperimentale. Ma c’erano pezzi come Sólvador, Bahia de Caymmi in cui invece il trattamento timbrico e l’arrangiamento spingevano verso una decisa sperimentazione. Quel brano era dedicato a Dorival Caymmi Dorival, figlio di un immigrato italiano e di una brasiliana, nato a Salvador de Bahia e considerato uno dei più importanti compositori di canzoni della MPB. Così lo descriveva Tom Zé nel brano: «Quando Caymmi ha creato/questo liscio Solvador/era la piccola mamma/che ha allattato al seno/Qui a Solvador Bahia tutti/capitalisti o vagabondi/scarpe da ginnastica, cravatta o capelli bianchi/tutti hanno un santo».

ANTICONVENZIONALE
Sette anni prima, nel 2001, era uscito Jogos de armar, il primo disco brasiliano di Tom Zé, dopo l’esperienza americana con la Luaka Bop. Segnava un ulteriore passo avanti sia sul piano sperimentale che su quello timbrico grazie alla centralità che assumevano gli strumenti anticonvenzionali. In Jogos de armar molto spesso gli «instronzementos», come li chiamava lui con un neologismo molto efficace, tessevano le principali linee ritmiche e armoniche dei brani.
Secondo David Byrne «con i samba, la bossa, il frevo o la musica popolare del nordest» Zé creava sempre qualcosa di nuovo in cui, però, «era possibile ancora riconoscere gli elementi primordiali generatori». Nelle note del disco Tom Zé si divertiva a inventare nuovi generi a partire dagli stili più classici: comparivano il baiãolenda, il samba rap, il maracapoeira. E in questo disco portava alle estreme conseguenze anche l’estetica del plagio, utilizzandola come ispirazione compositiva in maniera sistematica, mentre nell’ironico A chegada de Raul Seixas e Lampião guardava alla canzone folk dei trovadori nordestini e ne approfittava per ricordare Raul Seixas, altro grande cantante bahiano, accoppiandolo nel titolo a Lampiao, famigerato brigante cangaceiro.
Torniamo infine a Estudiando a bossa-Nordeste Plaza del 2008. Disse Zé all’epoca: «Quella musica ha abitato la mia psiche per 50-60 anni. Familiare e profonda, ma in qualche modo extraterrestre nella mia mente. Doveva uscire, essere affrontata». E i guru di quella musica li elencava uno per uno nel quinto brano in scaletta, Sincope Joaobim, un brano introdotto da voce femminile e pandero, in cui la sindrome del tributo nominale, veniva portata allo zenith. «Antonio Carlos Jobim, Menescal, Vinicius de Moraes, Baden Powell, Ronaldo Boscoli, Nara Leão, Carlos Lyra, Miéle e il bahiano João»: più che una semplice dedica, una lista da discorso al premio Oscar, piena di affetto e riconoscenza.