A ogni pensiero radicale corrisponde una forma di vita, un «iki» come lo definirebbe Kuki Shuzo ne La struttura dell’iki (Adelphi). Iki è l’essere che prende forma in un misto di rigore, inflessibilità ed eleganza; difficile capire a cosa ci si riferisca se non si ha la fortuna di incontrarne, almeno una volta nella vita, un esempio.
È il 7 ottobre 2009 quando, ultima volta in Italia, sarà possibile incontrare alla Casa della Cultura di Milano Tom Regan: esempio di iki vivente. Scomparso il 17 febbraio, a 78 anni, è stato uno dei più grandi filosofi morali e animalisti del nostro tempo.

Quest’omone dai capelli rossicci, lo sguardo e il portamento dolcissimo, intratterrà un folto pubblico per circa due ore sulle storie e le prospettive dell’animalismo mondiale: era appena uscita una nuova edizione italiana del suo Gabbie Vuote, pubblicato in Italia da Sonda a cura di Alessandra Galbiati e Massimo Filippi, in cui sosteneva con un rigore inedito i motivi per cui è impossibile considerare gli animali in relazione al loro presunto uso e non, come si dovrebbe, in relazione al loro valore intrinseco.

QUESTA TESI, che oggi passa sotto il nome di «soggetto di una vita», è stata il manifesto filosofico di tutta la ricerca di Tom Regan, esperto del pensiero di Immanuel Kant e George Edward Moore, e primo grande pensatore a contrapporsi all’utilitarismo di Peter Singer con una forma semi-radicale di abolizionismo della violenza sugli animali di derivazione giuspositivista. Nonostante la sua attività accademica (alla North Carolina State University) Regan è stato essenzialmente un attivista: forse l’unica possibilità, per un filosofo, di essere concretamente tanto pensatore che attore della realtà che contempla ma che vorrebbe anche modificare o, come nel caso della sofferenza degli animali, ribaltare del tutto.

Insieme alla moglie Nancy, Tom Regan ha diretto una fondazione importante per l’etica animale e ha costruito, negli anni, la consapevolezza necessaria a un movimento globalizzato per definizione come quello animalista: non si tratta di ridurre il dolore, qui la polemica contro l’utilitarismo, ma di eliminarlo del tutto.
Un iki, forma di vita inedita e radicale, perché Regan ha mostrato a generazioni di pensatori che il peso della grazia di un pensiero radicale equivale alla leggerezza di un compito: l’esistenza è una testimonianza.

CON REGAN si inaugura un pensiero radicale dell’animalismo per cui ogni pratica che non rispetti i diritti degli animali (mangiare, cacciare, sperimentare eccetera) sia sbagliata a prescindere da bisogni, dal contesto e dalla cultura. Un pensiero non completamente fondato e utopico? Forse, come utopico è un mondo di iki: di chi è coerente, pacifico, visionario, e in grado di adeguare le azioni ai pensieri.

Ma in un mondo così violento contro tutti, animali umani e non umani, non è forse necessario raccontare un’utopia per aprire un varco alle possibilità concrete?