Quando il giornalista scientifico Pietro Greco insinua nella testa di Bruno Arpaia la possibilità che due morti e due arresti negli anni ‘60 abbiano sabotato il progresso scientifico e tecnologico in Italia e non siano state morti e arresti casuali, Arpaia mostra scetticismo ma in pratica ha già deciso di farsi ammaliare da questa storia.

SI PARLA DI COMPLOTTI e di Cia, delle morti di Mario Tchou, Enrico Mattei, e delle incriminazione contro Felice Ippolito e Domenico Marotta. Arpaia comincia a studiare, a leggere e a colmare l’assenza di realtà con la fantasia. Il capo della banda dell’agenzia a Roma, Thomas Karamessines, detto «Tom il Greco» è il personaggio chiave, solo che su di lui in giro si sa pochissimo, così come sono flebili quasi insignificanti le sue tracce lasciate su documenti pubblici. È lui il protagonista della parte di fiction de Il fantasma dei fatti (Guanda, pp. 270, euro 19), un romanzo, una non fiction novel, un meta romanzo, dichiarazione di intenti e sperimentazione.

IL RIFERIMENTO DEL TITOLO è a Leonardo Sciascia ma Arpaia nei capitoli che descrivono la sua indagine cita Ellroy, e non è un caso. Quanto realizzato ne Il Fantasma dei fatti è quanto ha sempre fatto il demon dog della letteratura americana nella preparazione di scrittura dei suoi libri. Ellroy ha anche un metodo piuttosto noto: prima scrive e seleziona cronologie, biografie, dettagli, indagini di polizia, materiale legato al periodo, ai personaggi che vuole raccontare. Un copione vero e proprio. Poi ci mette «il dono» come lo chiama lui, ci mette i tanti fantasmi dei fatti.

COME DEL RESTO EMILIA, la protagonista de L’energia del vuoto – con cui Arpaia è stato candidato allo Strega nel 2011 – spiega alla giornalista Nuria, che anche in fisica, considerando tutto quanto non si sa, si colma la realtà con l’immaginazione. L’ha fatto Ellroy, lo esplora Arpaia, che decide di mostrare il suo procedere nella sua interezza – e si tratta non solo di materiale a disposizione, ma anche di convinzione, di dura vita da scrittura nel pieno di una crisi culturale che si riflette inesorabilmente nelle condizioni economiche di precarietà di gran parte degli operatori culturali -, riuscendo a rendere la sua inchiesta preparatoria, avvincente tanto quanto la parte finzionale e profonda quanto il Greco, il diabolico agente della Cia, deus ex-machina supposto, probabile, verosimile. Arpaia infatti mentre studia lavora a L’energia del vuoto, scrive traduce e osserva il lento declino del suo mondo, tanto da pensare di essere incastonato nella pagina del libro che la narrazione sta per girare.

CI SONO MOLTE STORIE in questo libro, comprese le vicende italiane degli anni ‘60 e la possibilità per il nostro paese di assurgere ad avanguardia tecnologica d’Europa. Un progetto mancato forse a causa delle bieche caratteristiche della nostra classe politica. O forse è stato sabotato. O forse no, ma questo non significa che tante cose non si muovessero intorno. E allora la storia di Tom il Greco, pure se rappresentata come parte puramente finzionale, è tanto ibrida, tanto non fiction, quanto quella nella quale protagonista è l’autore. Perché far parlare Tom il Greco, significa far parlare una parte dell’autore, quanto meno quella che per molto tempo ha pensato alla Cia come a un monolite, privo di sfumature decisive.

QUESTO «PIANO» del libro, con un ritmo da serie tv, attrae ma lascia in profondità il sospetto che insieme a Tom il Greco emerga più un ripensamento che non una risposta definitiva. Alla fine – infatti – Bruno Arpaia racconta anche una grande verità della nostra epoca, legata al mestiere di giornalista. Quanto ci vuole a buttare giù un complotto? Pochi minuti. Quanto ci vuole a trovarne tracce reali? Minimo undici anni, ma a costo di aggiungerci un po’ di fantasia.