A meno di un anno dal provvedimento del governo che reinterpreta l’articolo 9 della costituzione postbellica – che sancisce che sancisce la rinuncia di Tokyo all’«uso della forza come metodo di risoluzione delle dispute internazionali» a ad ogni «diritto di belligeranza» – Washington e Tokyo hanno siglato un accordo su nuove linee-guida in materia di difesa, che espandono il ruolo internazionale del Giappone.

L’accordo delle scorse ore va a potenziare quello sulla cooperazione difensiva bilaterale del 1997. A differenza di 18 anni fa, le nuove direttive non riguardano solo gli assetti regionali e la difesa del Giappone – dal dopoguerra a oggi in parte «appaltata» agli Usa visti i limiti imposti dalla Costituzione giapponese – ma danno all’alleanza un respiro globale.

Non si tratta della cooperazione bilaterale vista fino ad oggi: «Saremo in grado di fare a livello globale ciò che siamo stati in grado di fare in termini di difesa del Giappone e regionali», ha dichiarato un funzionario del governo Usa a Reuters. Tokyo e Washington lavoreranno sempre più di concerto per prevenire possibili attacchi missilistici e informatici, rafforzando la coordinazione nei settori aerospaziale e dell’intelligence. Tokyo potrà così inviare militari a sostegno di nuove operazioni a guida Usa in Medio Oriente. Già si parla di un possibile impiego del personale militare giapponese in operazioni di supporto logistico: dalla bonifica dei terreni minati sullo stretto di Hormuz, braccio di mare tra penisola arabica e Iran da cui passano le principali rotte del petrolio, alle ispezioni di navi sospettate di portare rifornimenti al nemico di turno.

Tuttavia la dimensione «regionale» dell’accordo resta di primaria importanza. «La situazione della sicurezza attorno al Giappone si fa sempre più dura e complessa», ha dichiarato il ministro degli Esteri giapponese Kishida al termine del summit di ieri. Il pensiero va alla possibilità di un ipotetico attacco missilistico proveniente dalla Corea del Nord, o nella peggiore delle ipotesi, di un conflitto con la Cina nelle aree contese del Mar cinese meridionale dove sono in corso dispute multilaterali che vedono coinvolti altri alleati degli Usa come Filippine e Vietnam. A loro sostegno, Tokyo ha già riformato a inizio di quest’anno la propria carta della cooperazione allo sviluppo internazionale per includere aiuti di natura «militare», come la fornitura di navi da pattuglia.

Da Washington negano che la nuova cooperazione difensiva nippo-americana sia esclusivamente in funzione anti-Pechino e anzi confermano che il nuovo accordo sull’asse Tokyo-Washington è stato messo a punto proprio per rispondere a «minacce in continua evoluzione in Asia-Pacifico e nel mondo». Ma è chiaro che lo sforzo cinese di modernizzazione e di espansione del comparto difesa metta pressione soprattutto al Giappone che è direttamente coinvolto in una disputa territoriale su un gruppo di isole – le Senkaku/Diaoyu – nel Mar cinese orientale.

Presto il governo giapponese sottoporrà le linee guida alle Camere per trasformarle in legge. Questo dovrebbe evitare in ultima istanza l’approvazione di leggi ad hoc di deroga al dettato costituzionale – per la cui definitiva riforma il governo avrebbe già fissato il termine del 2018 – come già accaduto nel 2002 con la partecipazione di un contingente giapponese alla spedizione Nato in Iraq.

Un ulteriore e fondamentale tassello andrebbe così ad aggiungersi al puzzle della politica estera giapponese disegnato dal primo ministro giapponese Shinzo Abe da quando a dicembre 2012 è diventato, a distanza di sei anni dal suo primo incarico, nuovamente capo dell’esecutivo. La sua amministrazione conservatrice ha avviato una campagna di rilancio complessivo del Paese, sul piano economico, culturale e, con quest’ultimo riavvicinamento agli Stati uniti, anche militare. Non che il rapporto tra Tokyo e Washington sia privo di ostacoli però. Il momento è particolarmente delicato a causa del prolungarsi delle trattative sull’ingresso di Tokyo nella Trans-Pacific Partnership, argomento di cui hanno discusso ieri Abe e Obama, un accordo di libero scambio che dovrebbe facilitare l’accesso al mercato giapponese alle multinazionali Usa in settori chiave come l’alimentare e l’automotive. Inoltre rimane il nodo Banca Asiatica per gli investimenti e le infrastrutture a guida cinese, sull’ingresso nella quale il Giappone ha preso tempo.