La sorte impedisce a Matteo Salvini di spellarsi le mani per il discorso inaugurale del presidente che non voleva rieleggere e che si è rassegnato a votare solo all’ultimo momento. A fermarlo sulla porta di Montecitorio è il Covid. Risulta positivo, come altri 25 grandi elettori. Si rifarà più tardi, telefonando al neorieletto, complimentandosi per «lo splendido e convincente intervento». Va da sé che al leghista la parte che più è piaciuta è quella sulla giustizia, le bacchettate impietose dispensate al potere giudiziario: «Ho applaudito in generale e alcuni passaggi, come la necessità di una profonda riforma della giustizia, in particolare».

NON CHE SALVINI si scosti dal comportamento generale. Tutti, generali e colonnelli, si sforzano di evidenziare il passaggio che più gli aggrada. Per Matteo Renzi, come per il leghista, è l’affondo sulle toghe: «Grande discorso, specie sulla giustizia». Enrico Letta si scalda per i numerosi riferimenti all’ingiustizia sociale: «La frase più forte è: ’Le diseguaglianze non sono il prezzo da pagare alla crescita. Sono il freno alla crescita’».
Giuseppe Conte si entusiasma per le sciabolate contro la precarietà e a favore della tutela dell’ambiente. Persino Giorgia Meloni, pur ribadendo il giudizio negativo sulla rielezione di Mattarella ammette di aver «condiviso diversi passaggi». E li elenca: dalla lotta alle diseguaglianze alle donne, ma con particolare enfasi sulla giustizia, sui «mancati diritti del parlamento e segnatamente delle opposizioni» e persino sull’immigrazione, perché parlare di lotta contro la tratta degli esseri umani implica, a suo parere, «una significativa discontinuità con il presidente precedente».

L’IRONIA È EVIDENTE ma va anche detto che sorella Giorgia non è isolata. I parlamentari hanno applaudito 52 volte, in un paio d’occasioni scattando in piedi. La standing ovation per l’avvio del secondo mandato è durata quattro minuti. Applausi a volte molto convinti, come quando Sergio Mattarella ha difeso il parlamento dall’invadenza dell’esecutivo. Altre volte battimani d’ordinanza, perché chi mai oserebbe non applaudire quando un capo dello Stato denuncia razzismo e antisemitismo?

Ma sull’immigrazione l’applauso si segnala per fiacchezza e diventa incandescente solo quando il presidente cita il traffico di carne umana, argomento che si presta a essere piegato a piacimento, anche da chi in materia la pensa all’opposto di Mattarella. Solo in un’occasione i parlamentari tengono le mani a posto, tutti nessuno escluso: quando il presidente denuncia il sovraffollamento delle carceri qualche isolata mano plaude ma quando arriva addirittura a ricordare la necessità di risocializzare i detenuti l’aula bollente si raggela. Non applaude nessuno e il segnale non potrebbe essere più eloquente. Neppure più desolante.

Il gioco consistente nell’esaltare questo o quel passaggio permette a tutti di chiudere gli occhi sul significato della seconda parte del discorso, nella quale Mattarella si è tenuto sulle generali non per retorica ma perché, attentissimo com’è a rispettare rigorosamente i limiti del mandato, non si sarebbe mai permesso di suggerire alla politica come legiferare in materia di precariato o di immigrazione. Ma non ha neppure sciorinato un elenco di buoni propositi: ha delineato un orizzonte complessivo e omogeneo, una visione che non si dovrebbe trattare come spezzatino nel quale pescare il boccone preferito scartando il resto.

NELLA SODDISFAZIONE generale, forse il meno contento del discorso è stato il presidente del consiglio Mario Draghi, che nel pomeriggio al Quirinale, come da prassi, ha consegnato le dimissioni del governo nelle mani del capo dello Stato, che le ha rifiutate. Pieno appoggio del presidente, nel suo discorso a Montecitorio, sulla politica economica. Ringraziamenti sinceri. Ma sullo stile di governo le bacchettate sono state sonore.