Nelle pieghe della legge di stabilità approvata dal Parlamento prima di Natale qualcuno ha voluto inserire un regalo per i consiglieri togati del Consiglio superiore della magistratura (Csm): la possibilità di ottenere, alla fine del mandato a Palazzo dei Marescialli, incarichi direttivi o fuori ruolo. In precedenza, giudici e pm che terminavano i quattro anni nell’organo di autogoverno delle toghe dovevano «tornare nei ranghi», non potendo, per almeno un anno, né diventare capi di procure o tribunali, né assumere funzioni di nomina politica, ad esempio nei ministeri. Il motivo: evitare impropri scambi di favore fra partiti e toghe in cambio di progressioni di carriera.

La nuova norma, però, ai magistrati italiani non piace. Tutte le correnti, tranne una, si sono schierate contro, denunciando una scelta unilaterale del parlamento avvenuta senza consultarli. Il gruppo che non ha protestato è Magistratura indipendente (Mi), la destra da cui proviene il sottosegretario alla giustizia Cosimo Ferri, voluto in via Arenula da Silvio Berlusconi e rimasto al suo posto anche dopo la fine delle larghe intese con il Pd. Dal centro di Unicost alla sinistra di Magistratura democratica (Md) il coro di critiche è stato forte.

Ieri Md ha diffuso un comunicato in cui punta il dito contro le nuove regole senza giri di parole: «È sin troppo facile sospettare – si legge – che una modifica con effetto immediato, scivolata negli interstizi della legge finanziaria, sia collegata ad aspettative di vantaggio per singoli consiglieri uscenti, alimentando così l’immagine di una magistratura con il ’cappello in mano’ di fronte alla politica». Per i magistrati progressisti «è un tipo di norma che contribuisce ad aumentare la deriva carrieristica», dichiara il presidente di Md Riccardo De Vito al manifesto. «Sul piano simbolico è una svalutazione del rientro alle proprie funzioni ordinarie, una spinta ulteriore a quella fuga dalla toga di ‘magistrato semplice’ che registriamo da tempo con preoccupazione», sostiene De Vito.

Il tema agita gli animi di giudici e pm anche perché si avvicinano le elezioni per il rinnovo del Csm: si voterà in estate, ma la campagna elettorale è di fatto già iniziata. Le correnti stanno selezionando attraverso primarie i loro candidati, che poi si sfideranno in un sistema che non prevede il voto a liste, ma direttamente alle persone. La «disintermediazione» fra i magistrati c’è già, e fu voluta dal governo Berlusconi per combattere le «degenerazioni correntizie». Md si presenterà sotto le insegne di Area, di cui è parte anche l’altro gruppo progressista, il Movimento per la giustizia: tra il 7 e il 9 febbraio le primarie fra gli aderenti. In campo, fra gli altri, l’ex segretaria di Md Rita Sanlorenzo, per anni giudice del lavoro a Torino e ora alla procura della Cassazione, e il pm romano Giuseppe Cascini, già ai vertici dell’Anm. Ancora non si sa, invece, se sarà della partita l’ex pm di Mani pulite Piercamillo Davigo, leader dell’ultima nata fra le correnti, Autonomia e indipendenza: un gruppo di orientamento conservatore ma «anti-berlusconiano», nato da una scissione di Mi in polemica contro la linea ispirata dal sottosegretario Ferri.

Quattro anni fa Area ottenne ben 7 consiglieri su 16, un risultato che sarà difficile ripetere, soprattutto dopo l’ingresso in scena del gruppo di Davigo. Le toghe di sinistra cercheranno il consenso dei loro colleghi insistendo soprattutto nel denunciare il ritorno alla gerarchizzazione. «Il nostro progetto – argomenta De Vito – è di riaffermare una magistratura veramente egualitaria».