«Io sono totalmente privo di talento. E di fantasia». Si presenta così Tiziano Sclavi, creatore di Dylan Dog, il maggiore successo editoriale del fumetto italiano degli ultimi decenni. Volutamente ritiratosi dalle scene dichiara: «Sono in pensione». Un’ombra nell’ombra, Sclavi. Un’ombra che dopo avere ceduto le redini di Dylan Dog, ha fatto dell’invisibilità ed elusività il tratto fondamentale della sua vita. «Faccio solo del bene all’umanità non scrivendo più». Giancarlo Soldi, che nel 1992 porta sul grande schermo Nero, romanzo di Sclavi, difeso, fra i pochissimi, da un giovanissimo Marco Martani sulle pagine di Cineforum, conosce bene l’universo dello scrittore e vanta una frequentazione continuativa con la nona arte come testimoniano i suoi film Nuvole parlanti (2006), Graphic Reporter (2009) e Come Tex nessuno mai (2012). Così, mentre la Bonelli tenta il rilancio editoriale del suo pezzo da novanta nelle edicole, Soldi, grazie all’accessibilità concessagli da Sclavi, tratteggia in Nessuno siamo perfetti il ritratto di un uomo che in realtà non ha fatto altro che raccontarsi attraverso le maschere delle finzioni delle storie più famose dell’Indagatore dell’incubo. Autentiche memorie dell’invisibile, quelle di Sclavi, citando il titolo dell’albo numero 19, uno dei più amati dai lettori della serie, pubblicato nel 1988.

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Soldi tenta di evocare intorno a Sclavi una Milano aliena, i cui cieli sono solcati da capodogli e balene, mentre fantasmi che assomigliano a gocce di china danzanti nell’acqua si formano nello spazio di ambienti abbandonati. Lo stile filmico è da teste parlanti. Testimoni, amici e ammiratori raccontano Sclavi. L’approccio è ammirato ma anche prevedibile. Filmato in bianco e a colori, steso sul divano di casa, come se fosse sul lettino dell’analista («Ho fatto 25 anni di analisi. Non serve a niente») Sclavi si racconta per frasi lapidarie. «Racconto il modo di raccontare storie», confessa. «Dicono che sono un ottimo dialoghista, ma quando ho letto Glamorama di Bret Easton Ellis mi son sentito una povera cosa». Questo stile «staccato», per rifarsi alla musica, influenza anche il montaggio. Soldi ritorna più volte sulla tecnica di scrittura a blocchi di Sclavi. Molto spazio, inevitabilmente, occupa il ricordo della «madre maligna» che al piccolo Tiziano brucia periodicamente i giornalini. E osservando le labbra di Sclavi che a tratti sembrano quasi rifiutarsi di aprirsi, ci si sorprende dal dolore che ancora alligna sotto la superficie delle parole.

Nel suo studio, circondato da cani e gatti, Sclavi sembra un sopravvissuto. Qualcuno che dopo avere preso un ascensore per l’inferno, il riferimento è al titolo del numero 250 di Dylan Dog, si meraviglia di essere ancora vivo.
È Mauro Marcheselli, direttore editoriale Bonelli, a dare un nome al male oscuro di Sclavi: depressione. «Il tempo che si perde in cucina è tempo perso. Mangio tutti i giorni la stessa cosa. Un pezzo di pane e un pezzo di formaggio». Il racconto di Sclavi che si spegne sigarette sul braccio spaventa, anche se Soldi filma purtroppo questi momenti come se indeciso fra reticenza e voglia di scoop restando però a metà del guado di una decisione etica tutta da prendere. Laddove l’urticante e sprezzante autolesionismo di Sclavi avrebbe potuto offrire ben altri spunti.

«Cosa vuoi che ti dica della mia malattia? Sono un alcolizzato», confessa a bruciapelo. Ed è proprio inciampando sulle memorie di alcolista che Sclavi regala al film un lapsus illuminante, il momento più atroce, urticante; bello. «La maggior parte delle cose che scrivevo da ragazzo», racconta, «le bevevo da ubriaco… Ahhh, volevo dire le scrivevo da ubriaco».

Autore che ha creato un AltroQuando perfettamente compiuto, che ha rischiato di morire per alimentare la sua creazione più fortunata, ci mette in guardia: «Voi cittadini di Roma, di Milano non sapete cos’è il buio. Qui, se esci la sera, non ti vedi i piedi».
Sarebbe sin troppo facile ricordare che Sclavi all’apice della sua arte ha illuminato tutti i colori del buio creando un antieroe transgenerazionale, modulandolo sulla disillusione di chi nei mostri ha cercato l’umanità che non trovava nel mondo. Isolato dal resto del mondo, dubitiamo possa interessare a Tiziano Sclavi. «Io dico addio a tutte le vostre cazzate infinite».