Tisa sta per Trade in Services Agreement. Si tratta di un cantiere in corso di negoziato, iniziato nel 2013 tra 23 paesi che si sono autoproclamati “i grandi amici dei servizi”, con l’intenzione di deregolamentare il settore, dal trasporto marittimo alle telecom, l’e-commercio, i servizi informatici, le consegne a domicilio, fino ai servizi finanziari. Sono compresi nella trattativa, oggi allargata a 50 stati, anche i servizi pubblici, considerati una “concorrenza sleale”. Questi “grandi amici dei servizi” trattano al di fuori dei negoziati multilaterali della Wto, impantanati nel ciclo di Doha che non va avanti, con l’obiettivo di presentarsi in un secondo momento al resto del mondo con un accordo che sarà più facile imporre erga omnes. La Ue ha avuto il via libera per parteciparvi, grazie a un voto dell’Europarlamento, dove hanno votato a favore il Ppe ma anche i social-democratici.

Una nuova rivelazione del team di giornalisti whisle-blowing di Wikileaks arriva adesso a completare le informazioni già diffuse lo scorso 25 aprile sulla deregulation dei mercati finanziari: un capitolo della trattativa Tisa riguarda il mercato dei dati, una liberalizzazione prevista che mette a rischio la protezione della privacy e la sicurezza delle informazioni personali, al solo vantaggio delle multinazionali. Con l’aggravante, visto dall’Europa, che nel settore dei dati personali, le corporations al comando sono tutte Usa. Ma la Commissione, assediata dalle lobbies, è convinta dei vantaggi di Tisa, perché, per esempio, potrebbe permettere agli europei accedere al trasporto aereo negli Usa.

Intanto, secondo Public Citizen, dai documenti diffusi da Wikileaks risulta che “si vuole proteggere il vantaggio competitivo degli Usa e il monopolio sulla proprietà intellettuale e tecnologica”. Nel 2011 è già stato raggiunto un accordo Usa-Ue per abbattere le restrizioni sul trasferimento di dati tra paesi. Tisa ha la stessa filosofia del Ttip, ne è in effetti la testa di ponte: l’obiettivo è eliminare tutti i protezionismi residui. La Ue ha firmato un accordo di liberalizzazione di questo tipo con il Canada, il Ceta, anticipazione del Ttip. Tisa contiene difatti uno dei principi-chiave del Ttip: il cosiddetto principio di “coordinamento”, che impedisce a uno stato di imporre una regolazione che potrebbe essere lesiva dei diritti di un altro firmatario, cioè siamo alla deregulation generalizzata. Nel Wikileaks dello scorso aprile era venuto alla luce che i negoziati riguardavano la soppressione di alcune regolamentazioni della finanza, approvate in seguito agli scossoni della crisi, per evitare che si riproducesse.

Le rivelazioni sulla liberalizzazione del mercato dei dati arrivano in un momento in cui la Ue comincia a prendere coscienza dei troppi vantaggi competitivi sfruttati da Google, una delle corporation più attive che spingono all’approvazione di Tisa. Il 16 dicembre scorso, Google ha chiuso in Spagna il servizio “attualità” in reazione a una legge che avrebbe obbligato la multinazionale Usa a pagare per gli articoli pubblicati e rubati ai media locali. Un analogo braccio di ferro ha avuto luogo in Germania, ma alla fine Google l’ha spuntata: i giornali locali hanno concesso una licenza gratuita per la pubblicazione dei loro contenuti, per paura di sparire dal Net. La Francia ha scelto una strada diversa e ha imposto a Google una contropartita, cioè di contribuire al Fondo per l’innovazione digitale della stampa (che fa parte del pacchetto degli aiuti pubblici ai media). Google, del resto, in Europa è oggetto di inchieste per “abuso di posizione dominante” (controlla il 90% del mercato Ue) e per l’ottimizzazione fiscale, in agenda oggi al Consiglio europeo. Dal 1° gennaio il pagamento dell’Iva sarà nel paese dell’acquirente, quando viene comprato un contenuto (film, musica ecc.) su Google, Apple ecc. Inoltre, è ormai previsto lo scambio automatico di informazioni fiscali, per evitare i tax ruling, la specialità del Lussemburgo. Google è in conflitto con numerose Autorità nazionali, garanti della privacy, ma in seguito a una decisione della Corte europea di giustizia, deve rispettare il “diritto all’oblio” su Internet. Saranno gli stati a gestire la protezione dei dati dei rispettivi cittadini.