Timothy Morton, docente presso la Rice University a Houston, è persona non-binaria e un* dei filosofi contemporanei più influenti. A partire dall’ontologia orientata agli oggetti ha sviluppato la nozione di iperoggetto, che è al centro della sua proposta di ripensamento dell’ecologia. Un iperoggetto è non-locale, distribuito sull’intero pianeta, in grado di «inglobare» altri oggetti (umani inclusi) con possibili effetti devastanti. Come il riscaldamento globale. In Italia, sono stati pubblicati diversi suoi libri, tra cui Iperoggetti (2013, tradotto da Nero nel 2018) e Noi, esseri ecologici (2007, poi edito da Laterza nel 2018). Recentemente è uscito per i tipi di Luiss University Press (pp. 216, euro 20, traduzione di Vincenzo Santarcangelo) uno dei suoi saggi più importanti Ecologia oscura. Logica della coesistenza futura (l’edizione originale è del 2016).

Timothy Morton

Cominciamo affrontando alcuni termini centrali del suo lavoro. Il primo certamente è quello di «iperoggetto».
Oggi abbiamo sviluppato una certa sensibilità su cosa sia un iperoggetto, o meglio, sentiamo che cosa esso sia. E i sentimenti sono sempre più importanti delle parole. Questo iperoggetto si chiama coronavirus. È dappertutto e da nessuna parte. Non puoi vederlo, ma è dentro di te e su ogni superficie del pianeta. Significa cose diverse su scale diverse. Cambia radicalmente ciò che si intende per «cosa».

E l’ontologia orientata agli oggetti (OOO)?
L’ontologia studia il modo di esistenza delle cose. La scienza ci dice quali cose esistono. Se gli atomi esistono, l’ontologia si domanda: in che modo esistono? L’OOO afferma che tutte le cose esistono allo stesso modo. Se esistono le squadre di calcio, allora anche i buchi neri, le frasi e le idee circa l’OOO esistono allo stesso modo. In che senso? Nel senso che nessuna di queste cose può essere completamente appropriata da altre (comprese loro stesse). Il modo in cui le cose appaiono non è mai identico a quello in cui sono. Io sono un marxista OOO e, pertanto, non penso che gli umani siano esseri speciali rispetto ai serpenti o ai coralli, che pure devono entrare nel progetto rivoluzionario. Il marxismo OOO è pervaso da molto «anarchismo» (un termine marxista per dire «il comunismo che non ci piace»).

Passando a uno dei temi centrali di «Ecologia oscura» ci vuole parlare di cosa intende per «agrilogistica»?
L’agrilogistica è una sorta di sistema operativo del nostro mondo, un sistema operativo che lavora sottotraccia indipendentemente dal fatto che la nostra società sia feudale, capitalista o comunista – almeno fino a questo momento. L’agrilocistica è al contempo una ben precisa modalità di organizzare lo spazio sociale e il modo in cui lo pensiamo. L’agrilogistica è all’opera da circa 12.000 anni, cioè dall’inizio della cosiddetta «civilizzazione». Ci sono moltissime forme di agricoltura, ma l’agrilogistica è caratterizzata da un approccio utilitarista completamente disinteressato agli esseri nonumani. Per questo sistema ciò che conta è «sopravvivere», non «vivere». Oggi tale sopravvivenza si traduce nel fatto che ci stiamo letteralmente mangiando la biosfera. L’idea di sopravvivere era più o meno ecologicamente sostenibile ai tempi delle prime città mesopotamiche. Ma già allora aveva dato avvio al patriarcato, al razzismo, alla divisione in classi; il tutto a favore della sopravvivenza.

Un altro tema cruciale del libro è quello di «loop». Perché è così importante per comprendere il riscaldamento globale?
I fenomeni ecologici sono organizzati nella forma di loop. Basti pensare a come cicli di feedback regolino il clima. O al fatto che oggi si sia instaurato un devastante feedback positivo a causa delle emissioni di carbonio. La politica ecologica non dovrebbe pensare in termini di efficienza e progresso. Quest’ultimo è la ragione per cui il nostro mondo ha quasi completamente distrutto la biosfera.

La sua ecologia oscura è senza «Natura». Ci può spiegare perché?
La Natura è un costrutto umano. Biosfera è la parola che preferisco. La Natura è normativa: se ci sono cose naturali, allora ci saranno anche cose innaturali. Questa prospettiva ha comportato danni incalcolabili in termini di «razza», genere e specie. Tutto il mio lavoro ruota attorno a questi aspetti, seppure a differenti livelli di complessità.

Lei parla sempre di Antropocene. Cosa ne pensa di termini quali «Capitalocene» o «Chthulucene»?
Antropocene è un termine di facile comprensione. Significa molto semplicemente che uno strato di materiali prodotti dagli umani si è depositato in ogni punto della parte più superficiale della crosta terrestre. Non solo nei paesi capitalisti. Dappertutto. Questo strato ha iniziato a formarsi circa 12.000 anni fa. Poi una notevole impennata si è verificata a partire dal 1600 durante il periodo coloniale e capitalista europeo, quando molte specie sono state spostate da una parte all’altra del globo (umani inclusi, molti dei quali come schiavi). Un’altra impennata è occorsa alla fine del XVIII secolo con l’invenzione della macchina a vapore, quando il capitalismo è diventato schiavitù automatizzata. Poi un’altra dopo la Seconda guerra mondiale. Antropocene è uno dei modi per pensare la crisi ecologica, ma è un modo molto potente per rendersi conto, come afferma Dipesh Chakrabarty, che l’umanità si è trasformata in «una forza geofisica su scala planetaria». Anche se sono comunista ritengo Capitalocene un termine inaccurato, umanistico e poco scientifico. Chthulucene, invece, è un termine di difficile comprensione e a me non piacciono le parole difficili.

Lei afferma che siamo ancora mesopotamici. Ma non ci sono diversi gradi di essere mesopotamici e di opporsi a questo stato di cose?
Sì, ci sono diversi modi di essere mesopotamici. L’attuale, il capitalismo neoliberale, è uno dei più tossici. Ed è automatico, per cui è fuori controllo e viene avvertito come alieno. Ovviamente, è necessaria un’azione su scala planetaria per creare un mondo ecologicamente armonico. L’ultima volta che gli europei hanno cercato di dire «umani» utilizzando una sola parola è stato nel 1700 quando hanno usato il termine «Uomo». Conosciamo i disastri che ne sono conseguiti. Black Lives Matter e #MeToo rappresentano forme di consapevolezza e azione umane su scala planetaria che contribuiscono a formulare una politica ambientale globale. Solo eliminando il patriarcato e il suprematismo bianco possiamo provare a costruire un mondo ecologicamente più giusto.

In cosa si differenzia la «depressione gioiosa» che caratterizza i suoi saggi dall’«edonismo depresso», per dirla con Mark Fisher, indotto dal realismo capitalista?
Sono due stati d’animo che si trovano uno agli antipodi dell’altro. La depressione gioiosa non è mai preda di alcuna cornice ideologica. La si sviluppa lottando contro il capitalismo. Io soffro di depressione e amo la meditazione. Penso che sia fondamentale non respingere i sentimenti negativi, che sono molto istruttivi. L’edonismo depresso non ha profondità; assomiglia a ciò che nel buddhismo sarebbe considerato una manifestazione di ignoranza e ottusità. Le emozioni di cui parlo sono, invece, tutt’altro che ottuse. Hanno a che fare con il risvegliarsi e il sollevarsi proprio e degli altri. Hanno a che fare con il prendersi cura.

Quanto è affascinato da quei viventi che chiamiamo «animali»?
Moltissimo. In questo momento mi trovo a fianco del mio gatto Oliver. Oliver ha compreso che la parola più importante del mio linguaggio è «Hello», dal momento che la pronuncio tanto spesso. Così, quando desidera qualcosa, dice «Hewo! ». Sono affascinato dalle differenti forme di vita fin da quando ho memoria. Gli «animali» (parola che non mi piace) dovrebbero essere salvaguardati, al pari di noi, al di fuori della cornice dei diritti che, a ben guardare, hanno a che fare con la proprietà. La cosa migliore che possiamo fare come individui è mangiare molta meno carne, o meglio, non mangiarla affatto e ridurre al minimo lo spreco di alimenti.

Concorda che il suo stile di scrittura è parte essenziale del suo pensiero?
Sono un musicista, amo la sonorità. C’è della musica nelle parole e io amo le parole. Da un certo punto di vista, il modo in cui dici le cose rappresenta tutto quello che hai da dire.

Tornando all’inizio, lei afferma che l’agrilogistica è una sorta di pandemia virale. Come si collega con quella da coronavirus?
L’alimentazione carnea contribuisce a che Dna e Rna virali possano trasmettersi e infettare. Mangiare carne è senza dubbio parte essenziale dell’agrilogistica.